Caduta l’immutabilità dell’ordine naturale, come pensavano i Greci, dovuto all’avvento della religione giudaico-cristiana che pensa la natura come un effetto della volontà di Dio; caduto Dio con l’avvento dell’umanesimo e della scienza moderna, che hanno trasferito alla volontà dell’uomo le prerogative della volontà di Dio, ora è l’uomo a soccombere sotto l’egemonia della tecnica, che non riconosce come suo limite né la natura, né Dio, e neppure l’uomo, ma solo lo stato dei risultati raggiunti, che può essere spostato all’infinito, senz’altro scopo se non l’autopotenziamento della tecnica fine a se stessa. A questo punto anche la storia perde la sua consistenza, perché la terra, teatro della storia, è resa instabile dalla tecnica, che ha il potere di abolire la scena su cui l’uomo ha raccontato la sua storia.
Il risveglio religioso, in tutte le diverse forme a cui oggi assistiamo, non deve trarre in inganno. Esso è solo un sintomo dell’inquietudine dell’uomo contemporaneo che, cresciuto nella visione della tecnica come progetto di salvezza, oggi percepisce all’ombra del progresso la possibilità di distruzione, e all’ombra dell’espansione tecnica la possibilità di estinzione.
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Gentile Professore, intanto le auguro una buona giornata.
Tempo fa le scrissi lamentandomi del fatto che il Giornale, cito a memoria, la definiva “aurtore del copia incolla” e sottolineavo il mio disappunto.
Probabilmete quel gesto di solidarietà le piacque e trovò il tempo di rispondermi, dicendomi che pensava di tutelarsi nelle sedi opportune circa questa ingiustificata denigrazione.
Io pensando a Nietzche, e facendo riferimento ad un passo di Psiche e techne, Le proposi di tutelarsi con una risata.
Perchè intraprendere un tale passo, che poteva sembrare logico ad una persona comune, non rispondeva al mio concetto di moralita: le idee non hanno padrone e non appartengono a chi ha avuto la fortuna di poterle pubblicare prima di altri, chissà quante cose sono state pensate prima di essere state pubblicate da altri. Termini come “diritti d’autore” od altro, anche se giustificati dalla loro attualità, appartengono a mio dire solo alla così detta industria della cultura di massa.
Ritornando all’oggi, volevo dirLe che ho letto “Cristianesimo la religione dal cielo vuoto” e che concordo in molto di quello che dice, ma parte di esso meriterebbe un confronto di idee.
Tanto per lanciare un sasso in uno stagno, le ricordo che dagli Atti degli Apostoli, risulta che le prime comunità cristiane si erano
organizzate in piccole comunità che prevedevano la messa in comune dei loro averi, un comunismo, che, come il caso di Anania, citato nel capitolo quinto ricorda, viene giustificato in Legge dallo stesso allo Sprito Santo che fa morire Anania e sua moglie per il solo fatto di aver trattenuto per se una parte dei loro averi.
Quella di Marx non è quindi una ispirazione alllo spirito cristiano, ma una rifondazione bella e buona di tale spirito, fatta in epoca completamente diversa, positivista, anticlericale, industriale, per
cui ci si vergognava a trovare radici cristiane in un processo che doveva apparire moderno e rivoluzionario. Ancora oggi quando si leggono autori socialisti che trattano della storia di quel pensiero, parlando dei precursori ci si ricollega magari Gracco Babeuf e non al messaggio cristiano.
La saluto cordialmente,
Sergio Torre
Ho partecipato al suo intervento a Senago, a metà giugno 2013.
Il de profundis del suo pensiero mi ha colpito. Ed io penso che un’epoca che si avvia verso un capitalismo sfrenato, (oltre a tutto il discorso sulla tecnica), non abbia ascoltato la filosofia; essa non dà risposte ora, ma doveva far riflettere prima. Ricordo l’intervento del giovane medico che l’ha accusata di pessimismo, credo non abbia colto a pieno. Tutti siamo travolti dal cambiamento epocale, ognuno in differente modo ma tutti lo siamo. Occorre trovare la propria collocazione nel tempo che muta, molti ne trarranno vantaggio, e viceversa, però la realtà non c’entra nulla col pessimismo, è realtà; se mi rendo conto che un’epoca sta cambiando forse sopravvivrò in essa, altrimenti la subirò. Inoltre (come altri) penso anch’io che la “tecnica” sia più potente del pensiero filosofico; esso non riesce a penetrare il mondo anticipando “catastrofi” epocali, ma lo si cita dopotutto, la tecnica avanza ciononostante. Come dire, preghiamo affinché Dio ci salvi dopo aver commesso un peccato; la filosofia dovrebbe evitare il peccato, se solo sapessimo ascoltare..
In che senso e in che modo estinzione ???
Ma l’ordine naturale resta pur sempre anche se in divenire, oltretutto quali Greci pensavano l’immutabilità, forse Eraclito pensava a una natura immutabile? E l’affermazione dell’onnipotenza dello scienziato e dell’infinito progresso della tecnica è solo utopica, dato che in un universo infinito il progresso umano resta limitato e l’esperienza scientifica pure. La minaccia incombente dell’ipotesi di una catastrofe dovuta all’azione umana fino a che punto muta la scena del mondo, se l’ipotesi di una distruzione dovuta a un cataclisma naturale era pur sempre valida anche una volta? Quanto alla religione, essa è fatta di morti e rinascite, l’uomo è animale religioso, sia che pensi l’Assoluto in termini teisti, sia che lo pensi ateisticamente; allora che senso avrebbe giudicare un risveglio religioso una illusione? Nell’orizzonte occluso di una ideologia che vorrebbe pensare il divenire come mutamento totale, forsennatamente protesa verso l’oblio di qualunque costante, i principi naturali vengono obliati, dimenticando che le essenze pur sempre ci sono, soltanto sono in divenire. Tanto per fare un esempio, la pretesa che sia possibile nuotare in mare come si camminasse in terra senza tener conto che l’uomo non è un animale marino, non trova freni quando è operante l’inganno che non ci siano principi nella natura e della natura. Allora in un mondo di disperata inettitudine la delusione nei confronti dei paradisi della tecnica non è forse esito obbligato? Dato che questi paradisi sono il frutto di idoleggiamenti e ancor di più di idolatrie, come potrebbe la sola filosofia agire senza il ricorso al sentimento religioso?
Mauro Pastore
Egregi Signori,
concordo, l’onnipotenza della scienza e l’infinito progresso della tecnica è solo un’utopia – L’ordine naturale resta anche se in divenire. Poco importa nell’ordine delle cose che sia un cataclisma o una guerra nucleare ad estinguere un’ era, una cultura o il mondo.
La tendenza a distruggere organizzazioni fine a sé stesse potrebbe essere una necessità.
<il sedicente innocuo, ingegnoso, inventivo, irragionevole spirito umano…purtroppo è inconscio della sua componente demoniaca (Jung)
<Come ciascuna pianta, ciascun albero si sviluppa da un seme per diventare alla fine, che so, una quercia, così l'uomo diventa ciò che era inteso che diventasse. O meglio dovrebbe diventarlo.
<L'uomo è un'animale per natura "non ancora stabilizzato" (Nietzsche) – riusciremo forse ad avere sentimento dell'illimitato (e di Dio) solo se/quando saremo definiti al massimo.
(Jung)
<Un mondo che non consenta in alcun modo il raggiungimento della felicità è un mondo che sarebbe meglio non esistesse e proprio questo fine -l'annichilimento del mondo prodotto dall'inconscio-è indicato come il fine del processo cosmico. (Hartmann – filosofia dell'inconscio)
L’uomo è tale perché è per natura l’animale incatalogabile. Ciascun individuo è unico, viene ribadito da “Max Stirner”, autore pseudonimo de “L’unico e la sua proprietà”. Essere che ha bisogno, a differenza di tutti gli altri, di darsi una morale, oltre le paure e le esaltazioni legate alla sopravvalutazione della scienza.
MAURO PASTORE
Buongiorno Sig. Pastore,
ho letto L’Unico e la sua proprietà di Stirner.
Bello. Bello. Grazie veramente per avermene parlato.
Cosa dire, non sono un’esperta in materia è evidente, ma intuisco che Nietzsche, che pure rimane per me una stella di splendore incommensurabile (per via della mia ignoranza certamente), sia stato influenzato/ispirato da Stirner – ma credo di dire cose scontate per Lei.
Grazie ancora per aver risposto al mio post.
Cordialmente,
Lidia
Ciò che è fine a se stesso potrebbe essere superiore agli ordini naturali o inferiore. In tale ultimo caso è sottoposto agli eventi naturali. Una convivenza in natura termina col variare dell’ambiente naturale e se non si avesse consapevolezza delle scadenze la natura agirebbe con la brutalità che le è propria quando subisce l’arbitrio. Differente è la questione dei destini naturali (ne scriverò dopo, commentando l’altro messaggio).
MAURO PASTORE
La religione, qualsiasi tipo di religione, oggi ha un ruolo irrilevante.
E’ chiaro oramai che “All’ombra del progresso c’è la possibilità di distruzione, e all’ombra dell’espansione tecnica c’è la possibilità di estinzione”.
La tecnica non è più uno strumento a disposizione dell’uomo, la tecnica ha preso il posto dell’uomo, non è il mezzo è il fine e questo processo è inarrestabile e il progresso rivela, come scrive il Prof. U. Galimberti nella sua opera Psiche e Techne, non tanto un’espansione dello spirito umano, quanto un’espansione delle forme di stabilizzazione.
L’azione ponendosi come condizione prima per l’esistenza dell’uomo, abolisce tutti i dualismi e rende inessenziali i nessi escogitati per la loro connessione. L’uomo infatti è generato dalla sua azione che crea un mondo che lo definisce. In questo senso l’uomo [..] crea se stesso, e con se stesso la storia che, come successione di autocreazioni, è iscritta nella natura non stabilizzata della sua matrice pulsionale […]
Che sia nella “staticità” come stadio ultimo dei processi di stabilizzazione la meta di tanto fare e in questa meta il compiersi dell’essenza dell’uomo ?[…] (U.Galimberti, Psiche e Techne)
La volontà dunque è irrazionale nella misura in cui produce infelicità cioè il contrario di ciò che dice di volere.
Esiste nel nostro agire, dunque, un’attività psichica inconscia che ci porta verso l’annichilimento?
Lo scopo finale del processo cosmico consiste nel realizzare la condizione di massima felicità, cioè l’assenza di dolore – se è così l’annichilimento del mondo prodotto dall’inconscio è il fine del processo cosmico?
Esiste un antagonismo tra volontà irrazionale e intelligenza che, attraverso la coscienza, si emancipa dall’istinto? (E.Hartmann, Le Illusioni del genere umano)
Lidia
Leggo il nome di un filosofo del quale non trovai una sola opera tradotta per intero in italiano: von Hartmann. Il suo pensiero lo trovai variamente descritto: una illazione strappalacrime, un pensiero lucido sulla fine del mondo, una mezza filosofia, un misticismo assai fuori posto… Di questi giudizi non ne feci nulla, poco ne potetti fare degli stralci pubblicati in italano dai suoi testi. Ricostruii così il suo pensiero: filosofia che intendeva colmare un voto aperto dalle critiche di Schopenhauer e che riprendeva il concetto di ragione dalla dialettica hegeliana, precisato quale logos universale. La volontà universale veniva da von Hartmann svelata nel suo aspetto di ricerca della propria fine. Senonché tale fine del mondo, esito universale senza contrasti in se stesso, si mostra logicamente ineccepibile ma pure insostenibile a causa della inconsistenza della morte e della natura soggettiva delle scansioni temporali. Von Hartmann, che non ripiegava indietro verso l’idealismo hegeliano ma lo riformulava per adattarlo al volontarismo, avrebbe dunque indicato la natura relativa della morte di ciascun ente e nella fine del mondo un evento trasformativo di passaggio privo di tragedie o drammi veri: infatti la coscienza razionale, dominata dalle istanze inconsce, paventa senza poter prevedere.
Edgar Allan Poe invece aveva introdotto al concetto di autoannichilimento cosmico, diverso dalla autodistruzione, intuizione questa da fisico. In ambito metafisico Poe raffrontava l’analisi delle assurdità razionali delle ipotesi possibili con il darsi immotivato delle intuizioni di principio nell’estetica cosmica, fondata necessariamente sulla bellezza proprio nei suoi aspetti terribili di potenze eccedenti qualunque sforzo libero. Per lui però tale mistero era a disposizione della conoscenza poetica, non delle indagini filosofiche e tanto meno dalle ricerche scientifiche. Da qui, penso, il colossale sarcasmo che fa assomigliare il suo testo “Eureka!” a un catalogo di caricautre di filosofi o ad elenco di altrui indomabili stupidaggini. (Genio maledetto della filosofia, questo anche era stato Edgar Allan Poe.)
In pratica, il pensiero applicato ai destini ultimi della natura e del cosmo non trova ragioni per affermare una fine, al contrario trova obiezioni logiche al tentativo di affermarla. Questo limite pone al ripare il filosofo dai sofismi che cercano distruttivamente di smentire la possibilità di reperimento e conoscenza delle essenze, che d’altronde risultano da intuizioni inesplicabili perenni. I prodigi della non-intelligenza, che stupidità non è, sono evidenti nel caso di insufficienza della umana intelligenza.
Per parte sua la religione, che medita il tempo per scorgervi l’eternità inventando azioni e pratiche al fine di giovare alla vita, non riceve in ciò i veti del vero pessimismo filosofico. Le filosofie razionaliste ed illuministe valgono entro i limiti delle proprie anguste premesse, oltre forzano i prori limiti incontrando il fallimento.
MAURO PASTORE
Intendevo: propri limiti, non ‘prori’… La prora è un limite! Il mare tanto trascurato di questi tempi (non alludo a me).
MAURO PASTORE
Non ho letto Stirner, autore pseudonimo de “L’Unico e la sua proprietà”, lo leggerò con molto piacere, grazie.
Per quanto riguarda von Hartmann, edito da Mattia&Fortunato Editori, ho letto le “Illusioni del genere umano”dal quale ho preso il pensiero evidenziato.
La mia formazione accademica è di tipo economico, il mio interesse personale solo da qualche anno ha affrontato temi umanistici. Leggo tutti i suoi interventi pubblicati su questo sito, che considero sempre molto interessanti ed intelligenti, capisco di doverle chiedere di avere pazienza, trovo incoraggiante pensare che abbiano come finalità il raggiungimento di una qualche utilità per lei altrimenti non mi sarei permessa di scrivere.
Io, di mio, so che la mia intelligenza è insufficiente.
Io, di mio, so di avere informazioni insufficienti.
Io, di mio, so di avere un pensiero lacunoso che mette insieme in modo soggettivo brandelli di fede, metafisica, etc.
So di non sapere nulla.
Mi riconosco in tutti e in nessuno, tutto mi meraviglia, tutto mi disgusta.
Non ho una posizione filosofica assoluta, nessuna appartenenza a gruppi sociali, categorie o altro.
Mi interessano gli argomenti affrontati dal Prof. Galimberti ed i commenti dei suoi lettori, ho apprezzato l’idea del sito e la possibilità di conversazione aperta a tutti.
Attribuire esattamente ad uno piuttosto che ad un altro la paternità di un pensiero filosofico, psicologico, economico, etc. non mi interessa, mi interessa il concetto in sé e la possibilità di confronto indipendentemente dalla correttezza e dalla coerenza complessiva dell’autore o mia nell’utilizzare le informazioni.
“L’uomo un giorno ha deciso di rinunciare ad un po’ di libertà per un po’ di sicurezza, per interesse”…fino all’avvento della tecnica che ha modificato radicalmente il concetto di individuo al punto che fuori dall’apparato tecnico l’uomo è incomprensibile pertanto la religione o anche la politica ad esempio, che a differenza di un tempo non sono più le sedi preposte a prendere decisioni, l’uomo oggi non lo possono più rappresentare.
“Se un fenomeno aumenta quantitativamente, c’è una variazione qualitativa”
Il problema è che non abbiamo una morale all’altezza della situazione che ci ritroviamo ad affrontare e l’uomo ha necessità di darsi una morale per vivere…(ho conosciuto personalmente uomini e donne a capo di importanti realtà economiche affetti da gravissimi disturbi psicologici proporzionali al loro grado di responsabilità, l’aver appreso che assumevano regolarmente psicofarmaci non mi aveva meravigliata affatto).
Per tornare all’argomento in oggetto, secondo me il risveglio religioso, in tutte le diverse forme a cui oggi assistiamo non potrà trarre in inganno… – anche se in televisione passano ultimamente messaggi e video preoccupanti vedo più plausibile il prendere piede di un individualismo anarchico, ma è un parere personalissimo.
Non trovo risposte esaustive, nemmeno sufficienti, mi rimangono le domande e forse qualche intuizione condivisibile grazie a qualcuno, non potrei mai fare alcuna affermazione o smentire la possibilità di reperimento e conoscenza delle essenze…
Mi permetto di manipolare a mio piacimento (…) un pensiero espresso da von Hartmann, mi permetto inoltre di citarlo anche se non strettamente pertinente:
Se l’uomo non è forte abbastanza (o stupido abbastanza), per sopportarla (la vita, la realtà) il cuore irrigidito dall’angoscia gli si gela per l’orrore, gli si spezza per la disperazione o gli si scioglie nel dolore…si scardina il consueto modo d’agire e di sentire. In un altro individuo di natura più forte (…) le stesse considerazioni, provocano una seria e contenuta rabbia per il folle carnevale dell’esistenza, ovvero…questa rabbia si muta in un’allegria disperata soffusa di spirito mefistofelico o con un atteggiamento a metà tra la compassione e lo scherno che guarda dall’alto con la stessa sovrana ironia sia coloro che sono prigionieri dell’illusione…sia coloro che si abbandonano alla disperazione.
Con i suoi sessantasei libri, la Bibbia contiene un completo sistema di pensiero. Paolo ci dice che “tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono in Cristo Gesù”.
Domanda: Ma “Gesù è davvero esistito? Esiste qualche prova storica di Gesù Cristo?”
La storicità di Gesù, ovvero la sua esistenza come effettivo personaggio storico, è la tesi storiografica condivisa tra gli studiosi che si contrappongono alla tesi del mito di Gesù, che nega la sua esistenza storica.
L’esistenza fisica di “Gesù Cristo” non è assolutamente accertata sul piano storico.
Non più di quella dell’Ulisse e di Omero.
Ma allora, perché molti di noi esseri umani, abbiamo il bisogno di credere?
E, se la fede è dono di Dio, perché non tutti ce l’hanno?
A questa domanda sembra difficile o impossibile rispondere solo perché si pensa che la fede sia una “cosa”, un “oggetto”, una specie di “pacco regalo” che dipende solo da colui che fa il dono, e non anche da colui che lo riceve. Questo, infatti, il ragionamento: Dio è buono e fa a tutti – senza differenze – i suoi doni; un dono, è un qualcosa che viene fatto da uno (Dio) ad un altro (uomo); ma, allora, se la fede è un dono di Dio, visto che Dio è imparziale, perché alcuni… non ce l’hanno? Appunto: non ce l’hanno, come se la fede fosse una specie di cosa da avere.
Ma la fede non è una cosa, bensì una relazione di vita con Qualcuno; quindi non la si può “avere” indipendentemente dalla libertà e dalla volontà di entrambe le persone coinvolte (io e Dio).
Ma è “umano” credere?
Capita ancora che il credente si senta dire più o meno direttamente: “ma tu ci credi ancora?”. Come se il “credere” fosse una “cosa” ormai passata, che eventualmente andava bene per la vita di qualche secolo fa, ma che non è certo l’atteggiamento dell’uomo à la page, di chi sa e conosce, di chi studia e si aggiorna. Ma il “credere” è una dimensione che appartiene a uno stadio primitivo e infantile della vita dell’uomo – e che come tale, quindi, può e deve essere superata –, o è un segno di un’umanità matura e completa? Un uomo “che crede”, è un uomo “vero”, un adulto che affronta la vita, o è solo un “bambinone”, che, siccome non ha il coraggio e la forza di “usare il cervello”, continua ancora a “fidarsi”?
Ma quali sono le caratteristiche che distinguono il Cristianesimo dalle altre religioni? Essenzialmente due: Gesù di Nazareth è vero Dio e vero uomo; Dio è Trinità.
Gesù di Nazareth è vero Dio e vero uomo perché … è l’unico personaggio della storia umana che … sia risorto dai morti! Questo c’è testimoniato dai racconti evangelici che narrano l’esperienza trasformante che ha avuto come protagonisti gli apostoli e i discepoli di Gesù. E’ un fatto talmente unico che le uniche alternative sono: o si tratta della più colossale truffa che continua da 2000 anni a questa parte oppure… bisogna ammettere che, per una volta, nella storia umana, è capitato qualcosa che, ragionevolmente, ci fa esclamare: “e perché no?”, “perché non potrei ammetterlo?”, “perché non potrebbe essere successo?”.
Secondo la giusta osservazione fatta da diversi autori negli ultimi tempi, stiamo attraversando oggi una crisi del senso della verità. Un filosofo italiano, M.F.Sciacca, analizzando con acutezza la situazione culturale del nostro tempo, denunciava il pericolo di una vera e propria “eliminazione della verità”. E, tempo addietro, nell’introduzione all’edizione italiana di tre saggi del teologo tedesco W.Pannenberg, tra cui uno su “ Cos’è verità? ”, Vittorino Grossi scriveva: “Il pensiero moderno ha un suo travaglio e disagio particolare quando tratta della “verità”.
Quali sono le ragioni di questo stato di cose? Saranno da ricercare nel prevalere crescente del soggettivismo nel pensiero moderno, cominciato con Kant o forse già con i filosofi del Rinascimento. Ma non è compito nostro indagare le cause profonde della crisi. Ciò che invece si dovrebbe fare, è analizzare nelle sue grandi linee la situazione attuale; domandarci che cosa significa per la mentalità moderna la nozione di verità, per fare poi un paragone con la concezione tradizionale, tramandataci dalla Grecia antica. Ma accanto all’idea classica esiste una nozione specificamente cristiana della verità. Dovremo cercare di mostrare in che cosa essa si distingua dalla concezione profana.
Forse può aiutarci Nietzsche?
Di seguito “Sentenze” tratte da:
Al di là del bene e del male; Umano, troppo umano.
“Tutto ciò che è umano merita, riguardo alla sua genesi, la considerazione ironica…”
[…] E’ possibile che sotto la favola sacra e il travestimento della vita di Gesù sia celato uno dei più dolorosi casi di martirio della sapienza intorno all’amore: il martirio del cuore più innocente e più bramoso, che nessun amore umano avrebbe mai potuto colmare, che pretendeva d’amare e d’essere amato e null’altro, con durezza, forsennatamente, con terribili scatti contro coloro che rifiutavano amore; la storia di un povero insaziato e insaziabile nell’amore, che dovette inventare l’infermo per spedirvi coloro che non lo volevano amare – e che infine, divenuto sapiente intorno all’amore umano, dovette inventare un dio che è tutto amore, tutto potenza d’amore – che ha pietà dell’amore umano, essendo esso così miserabile, cosi insipiente! Chi sente a questo modo, chi ha una siffatta esperienza intorno all’amore – cerca la morte. – Ma perché perdersi dietro queste cose dolorose? Ammesso che non si debba farlo. –
269. Al di là del bene e del male
Necessario alla vita, l’errore sulla vita. Ogni fede nel valore e nella dignità della vita è basata su un pensiero non puro; essa possiede solo per il fatto che il sentimento di partecipazione alla vita generale e alle sofferenze dell’umanità è molto debolmente sviluppato nell’individuo [..]
33. Umano, troppo Umano
Non c’è nessuna armonia prestabilita fra il progresso della verità e il bene dell’umanità
517. Intuizione fondamentale – Umano, troppo Umano
L’errore ha reso l’uomo così profondo […] da produrre un tal fiore come le religioni e le arti.
Il puro conoscere non sarebbe stato in grado di farlo. Chi svelasse l’essenza del mondo, causerebbe in noi tutti la più spiacevole delusione. Non il mondo come cosa in sé, ma il mondo come rappresentazione (come errore) è così ricco di significato, così profondo e meraviglioso, e reca in seno tanta felicità e infelicità.
E’ valida sia […] l’affermazione pratica del mondo o del suo contrario.
29. Inebriato dal profumo dei fiori – Umano, troppo Umano
Il pericolo di queste comunità forti, fondate su individui uniformi e pieni di carattere, è l’istupidimento gradualmente accresciuto dall’ereditarietà […] – Sono gli individui più liberi, molto più insicuri e moralmente più deboli, quelle dai quali dipende, in tali comunità, il progredire intellettuale.
[-…] Le nature più forti conservano il tipo, quelle più deboli aiutano a perfezionarlo.
Forse tutta l’umanità è soltanto una fase evolutiva di una determinata specie animale di durata limitata: sicché l’uomo è divenuto da una scimmia e in scimmia ancora si trasformerà […]
Proprio perché possiamo renderci conto di questa prospettiva, siamo forse in grado di prevenire una tal fine dell’avvenire.
247. Circolo dell’umanità – Umano, troppo Umano
Il cristianesimo in quanto tale è un’invenzione degli accademici che, dall’alto delle “loro” università, sono riusciti a convincere molti di quanto asseriscono.
Esistono, invece, i cristiani … ossia coloro che credono che Dio si è fatto uomo grazie all’intelligenza (sì … perché di intelligenza si tratta) di una donna, ELIMINANDO nell’arco di tempo di un semplice “sì” e per la durata dell’eternità, ogni separazione possibile tra ciò che è umano e ciò che è divino.
La vera domanda è … quanti sono i cristiani che “seguono il cristianesimo”?
A rigore, la risposta dovrebbe essere “nessuno”, perché il cristiano, in quanto tale, dovrebbe seguire “solo” Cristo e non un’idea astratta che chiamiamo cristianesimo.
Meditate, gente … meditate.
Non sono così sicura che sia importante stabilire cosa sia la verità, piuttosto mi sembra utile capire quali verità le persone credono, di volta in volta.
Oggi più che mai, mi sembra, il potere aggregativo delle idee costituisce l’elemento che determina il successo o il fallimento di intere comunità o nazioni. Infatti, la crisi economica derivata dalla totale anarchia finanziaria (nonché imprevedibilità giuridica) che domina la società attuale richiederebbe comunità coese, capaci di organizzarsi prontamente per adattarsi ai cambiamenti in corso.
Viviamo nel regno dell’informatizzazione. Mi sembra che l’elemento caratteristico di questo regno sia il fatto che i cambiamenti sono diventati E rapidi E profondi E capillari, tutte caratteristiche che in passato, mi sembra, non si potevano realizzare contestualmente. Ecco perché la rapidità di adattamento è così importante e perché sarebbe necessario unirsi anziché frammentarsi ulteriormente.
Se si cerca la verità … niente è più vero di un corpo che ha freddo, che ha fame, che è malato, che è stanco. Quella è la verità. Da dove proviene la mia sopravvivenza? Sarei capace di sopravvivere senza acqua corrente nelle case? Sarei capace di sopravvivere senza riscaldamento? Oppure senza medicine? Il mio corpo … quanto tempo sopravviverebbe senza l’elettricità?
La tecnologia non è più una realtà “alternativa” ma è espressione diretta della nostra vita stessa. Che senso ha interrogarsi sul ruolo della tecnologia nella vita, quando la vita stessa esiste grazie alla tecnologia? E del resto … perché dovrei considerare la dipendenza dalla tecnologia un male maggiore della dipendenza dagli agenti atmosferici o dalla fatalità degli eventi? La condizione di dipendenza è insita nella natura stessa della vita su questo pianeta.
Tuttavia, se identificarmi con la debolezza del mio corpo mi disturba (vai a capire poi perché), potrei preferire “gasarmi” con l’identificazione a qualche idea astratta (tipo essere buono o essere giusto o essere migliore … o essere dio?) … allora sì che creerò le premesse perché il mio corpo diventi sempre più debole e vulnerabile.
In fondo … mi sembra, l’intuizione originaria dei cristiani dovrebbe essere tutta lì: basta con un dio incorporeo e lontano dal mio corpo che cerco di controllare a distanza con trucchi e stratagemmi vari (liturgie sempre più complicate e leggi sempre più capillari e vessatorie); al suo posto voglio un Dio immanente e non manipolabile, che ama il mio corpo, che ama il mio “essere corpo” (cioè dipendente, vulnerabile e mortale) e che si rivela alla mia coscienza man mano che mi conosco per ciò che sono e non per quello che vorrei essere.
Non mi sembra così complicato, dopo tutto. Lo diventa, invece, se continuo a fare il fariseo senza neanche sapere di esserlo.
Non sono così sicura che sia importante individuare un concetto di verità, piuttosto mi sembra più utile conoscere le diverse verità che noi umani, di volta in volta, crediamo.
Anche perché se voglio proprio ridurre tutto ad un unico concetto di verità … a me sembra che questo coincida con la nostra corporeità (intesa sia in senso materiale che immateriale).
Se quello che dico è vero, allora la verità è un concetto praticamente infinito … non vi pare?
E’ interessante, invece, confrontare le diverse verità che gli umani credono perché dal loro studio possono emergere delle zone di sovrapposizione o, al contrario, delle zone “vuote”, per così dire, che possono guidarci verso comprensioni diverse della realtà.
Riguardo ai cristiani … mi sembra che la loro iniziale intuizione sia stata quella di umanizzare Dio, letteralmente, al fine paradossale di non doverlo più controllare a distanza attraverso liturgie sempre più complicate o leggi sempre più capillari e vessatorie.
Più di seicento comandamenti (tanto avevano prolificato le tavole della Legge) sono stati condensati in un unico comandamento: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato.
Questa sì che è una vera sfida ed una vera impresa eroica!
Anacronistico? Superato dalle scoperte scientifiche e dalle invenzioni tecnologiche?
Beh, vi chiedo di avere pazienza con la mia ignoranza e stupidità, ma davvero non so capire in che modo il mistero cristiano dell’Incarnazione (inteso in senso spirituale più che storico), possa diventare anacronistico.
Quanto alla tecnologia … la nostra vita, che ci piaccia o meno, dipende dalla tecnologia …. e allora? In quale epoca la vita su questo pianeta è mai stata indipendente? La condizione di dipendenza è insopprimibile: che differenza può fare se dipendiamo dagli agenti atmosferici oppure dalle centrali nucleari?
Dunque, faccio un ultimo tentativo e se sarò censurata … beh, forse imparerò qualcosa di utile. Gli scritti precedenti erano risposte ai commenti. Oggi oso esprimere il mio commento all’affermazione originaria sul cristianesimo e la corrosione del trono di Dio.
Nella mia sconfinata ignoranza, mi sento in disaccordo con quanto affermato a proposito della tecnica e della corrosione del trono di Dio.
La tecnologia è pur sempre un’invenzione umana e se sembra così fuori controllo è perché l’uomo non ha più controllo alcuno sull’ambiente umano che lo circonda e lo riempie.
In poco più di mezzo secolo (un battito di ciglia nell’economia del mondo), siamo passati da meno di due miliardi di umani a più di sei miliardi.
Davvero questo dato può essere considerato ininfluente?
La tecnologia ci serve per tentare, almeno, di mantenere questa massa mostruosa di umani sul pianeta. Quanti di noi potrebbero mettere qualcosa nello stomaco senza la tecnologia ? E non parlo di cibo genuino e nutriente, ma semplicemente di roba commestibile che, in un modo o in un altro non ci fa patire la fame. Magari, poi, ci fa patire qualcos’altro, ma non la fame.
Il vero problema emerge quando la tecnologia, o qualsiasi altra “cosa”, è usata per fuggire dalla paura anziché per realizzare un concetto d’amore (qui, me ne rendo conto, la parola può risultare fuorviante perché troppo spesso la associamo alle emozioni ormai standardizzate e mostruosamente riduttive dei film e di certa narrativa precotta che invade, grazie al dominio quasi assoluto del marketing, i nostri delicati cervelletti).
Torno a quanto stavo dicendo … la tecnologia è senz’altro sotto il controllo degli umani, ma se gli umani non sono guidati dall’amore, bensì dalla paura (individuale per i corrotti, collettiva per i più onesti), allora i risultati possono essere diametralmente opposti a quelli che si vorrebbero ottenere (basti pensare alla storia di Nicolas Tesla per farsene un’idea).
Ecco perché i messaggi spirituali autentici sono più che mai necessari, perché quella cosa che chiamiamo amore “appartiene” al regno dello spirito e non degli animali che sono sempre sottoposti allo “spirito di appartenenza” come prima condizione esistenziale.
L’umano, a mio avviso, è sì dipendente, certo, ma non “posseduto”, se mi si concede l’espressione. O meglio, non è posseduto quando SI possiede, quando, cioè il suo spirito è sviluppato al punto d’affrancarlo definitivamente dalla schiavitù animale di cui siamo sempre pronti a diventare adepti.
Insomma, non è un contrasto tra natura e tecnologia che ci rende tutto difficile, ma piuttosto un’incapacità di vivere spiritualmente la nostra natura animale.
Lo spirito non è qualcosa che si diffonde starnutendo (sebbene questo sia anche possibile). Per lo più occorre un vero impegno per farlo radicare e dare frutti (ma non è così per qualsiasi cosa? possiamo davvero immaginare di imparare a parlare, ad esempio, senza che nessuno ce lo insegni?).
Dei cristiani ciò che condivido è il mistero dell’Incarnazione. Questo da solo dovrebbe bastare a svilupparsi spiritualmente in modo più che adeguato.
Ciò che mi lascia perplessa, semmai, è il mistero della Resurrezione.
Non tanto quanto è realmente scritto nei quattro vangeli canonici, ma piuttosto tutta la letteratura che ne interpreta e codifica i criteri operativi che, a mio parere, sono particolarmente complicati e incomprensibili.
Paradossalmente, ciò che ne risulta è una spropositata paura di morire che a me sembra una delle cause principali di questo “mal di vivere” e questo “vivere male” che testimoniamo ogni giorno.
Come si può amare la vita se si ha paura della morte? Come si può “incarnare Dio” se si crede in una separazione o addirittura una contrapposizione della vita alla morte?
E’ la vita la prima ragione di morte: separarle, metterle in contrapposizione, può nuocere gravemente alla salute (se non altro quella psichica …… e scusate se è poco).
Quindi, tornando alla tecnologia, non mi sembra che ci sia niente di nuovo sotto al sole: la nostra vita dipende anche, e sempre di più, dalla tecnologia, ma non è la tecnologia che ci impedisce di interpretare correttamente il “senso” della vita, quanto, direi, la nostra ignoranza spirituale.
I primi cristiani si sono cimentati a diffondere il mistero della Resurrezione … chissà, forse perché volevano superare proprio questo dualismo vita/morte.
Non è colpa loro (o forse sì) se poi i cristiani successivi si sono ritrovati a credere proprio il contrario.
Oggi, proprio grazie alla tecnologia, possiamo davvero diminuire la nostra ignoranza (penso alla tecnologia informatica certo, ma non solo … penso, ad esempio, alla possibilità di studiare i reperti storici o archeologici in modi completamente nuovi e ai collegamenti realizzabili tra discipline diverse).
Siamo capaci di farlo? Siamo disposti a fare spazio a tutte le idee ed informazioni che si sono rese così improvvisamente accessibili e disponibili?
Quello rimane il vero problema. La capacità umana di capire, intesa proprio nel senso di capienza che …… guarda un po’, fa pure rima con sapienza.
Allora, per concludere, non sono il cristianesimo, l’umanesimo o la tecnologia, a rendere difficile la condizione umana d’esistenza, bensì la carenza (questa sì, davvero tanta) di uomini e donne veri, non più schiavi ma padroni di tutti gli –ismi ed –esimi o –logici possibili.
Siamo sei miliardi di individui, ma gli umani veri (cioè completi) sono ancora troppo pochi.
Chiedo scusa per la mia invadenza di questi ultimi giorni, ma ho notato un errore più grosso degli altri e, almeno questo, desidero correggerlo (gli altri sproloqui … ormai sono pubblicati).
Quando dico “Come si può amare la vita se si ha paura della morte?”, in effetti avrei dovuto scrivere “come si può amare la vita se si rifiuta la paura della morte?” oppure, “come si può amare la vita se si nega alla morte qualsiasi valore?”.
Perché, ovviamente, la paura della morte è sacrosanta. Non il suo rifiuto, però.
Ringrazio il prof. Galimberti per i suoi spunti di riflessione, sempre squisitamente stimolanti (le occasioni di riconoscere la mia stupidità non sono mai troppe).
Barbara Caleca pone la domanda: che differenza può fare se dipendiamo dagli agenti atmosferici oppure dalle centrali nucleari? Beh c’e’ una bella differenza. Nel secondo caso e’ l’uomo che pone le condizioni per un disastro ambientale, quindi e’ responsabile ed ha il dovere di interrogarsi sulle proprie azioni.
E’ bella l’idea dell’uomo che puo’ controllare la tecnica se guidato dall’amore, ma sfortunatamente non credo sia cosi’. Come dice ormai da tempo il professor Galimberti, l’uomo ormai e’ uno strumento della tecnica e non viceversa. Il dispiegarsi di questo potere ha il germe nella cultura stessa della metafisica occidentale, nel voler afferrare e carpire i segreti dell’ignoto atraverso la razionalizzazione di tutto. La tecnica come illusione di sconfiggere la morte vista come anientamento, il voler continuare ad esistere dominando tutto. Qui mi rifaccio al pensiero di Hed., Severino, etc…Grazie comunque a Barbara e a tutti gli altri per i commenti e grazie soprattutto al prof. Galimberti per i suoi articoli e per lo spazio concessoci.
P.S. Per chi volesse leggere dei commenti sul mio …puo’ clicacre sul mio nome.
Come ho scritto in precedenza per me non è importante riprendere complessivamente, fedelmente, coerentemente il pensiero autorevole espresso da altri (filosofi, intellettuali, etc) – non solo perché non ne ho la possibilità; mi interessa soprattutto comprendere se, anche solo in una delle idee espresse, il mio spirito si riconosce, il mio (povero) intelletto si riconosce – mi piace credere che le idee siano proprietà della collettività – Mi rendo conto che alle volte le idee che mi attraggono intuitivamente o razionalmente, non importa, sono spesso in contraddizione l’una con l’altra – la cosa non mi disturba – sono decisamente attratta dall’idea di inconscio collettivo che, psicologicamente (secondo Jung), rappresenta un contenitore psichico universale, comune a quello di tutti gli altri esseri umani…
Riprendendo il discorso:
“Perché considerare la dipendenza dalla tecnologia un male maggiore della dipendenza dagli agenti atmosferici o dalla fatalità degli eventi?
“La condizione di dipendenza è insita nella natura stessa della vita su questo pianeta”.
“Che differenza può fare se dipendiamo dagli agenti atmosferici oppure dalle centrali nucleari?”
Quello che scrive Barbara, riprendendo gli interventi precedenti, non fa una grinza – possiamo aggiungere inoltre che ” L’uomo è generato dalla sua azione tecnica – infatti, senza il suo agire tecnico l’uomo si sarebbe estinto perché ha caratteristiche e pulsioni generiche rispetto alla potenza dell’istinto degli animali”. (Psiche e Techne)
Ciononostante o meglio, grazie a ciò, da sempre “l’umanità guarda solo a sé, l’umanità vuol far progredire solo l’umanità, l’umanità è a se stessa la propria causa – non è forse la causa dell’umanità una-causa puramente egoistica?” che procede in modo indifferente – esattamente come tutto in natura – ridondante (quanti siamo 7 miliardi? – sembra raggiungeremo i 10 miliardi nei prossimi decenni) e totalmente indifferente alle vicende dell’uomo inteso come unico, come soggetto.
L’uomo oggi, che ci piaccia o no, è uno strumento nelle mani della tecnica, che è così potente da manipolare anche la natura (la tecnica è natura essa stessa?) – fuori dall’ “apparato tecnico” l’individuo non esiste – Non è totalmente posseduto forse, come dice Barbara – nel senso che “interiormente si può essere liberi nonostante la condizione di schiavitù, sebbene anche solo interiormente si possa ancora una volta essere liberi soltanto da cose di tutti i generi, non da tutto – non ci si può liberare dal capriccio imperioso del padrone… – la libertà vive solo nel regno dei sogni – la mia propria individualità, invece, è tutto me stesso: la mia essenza e la mia esistenza, sono io stesso…sono proprietario di ciò che posso”… (ringrazio ancora moltissimo Mauro Pastore per Stirner – L’Unico e la sua proprietà)
Homo sine pecunia est imago mortis – oggi si potrebbe aggiungere anche – “l’uomo senza tecnica, non in funzione della tecnica, non somigliante alla tecnica, è l’immagine della morte” (ecco perché la chirurgia estetica in tutto il mondo è diventata un “business” miliardario – ecco perché secondo me, riprendendo il post “quando essere vecchi significava saggezza” – la questione evidenziata dal Prof. Galimberti sarà interesse di pochi – la questione cioè del rapporto erotico del singolo/più o meno vecchio/ nei confronti del mondo è una questione personalissima –anacronistica – “la vecchiaia non è più deposito di sapere – è ritardo” – vecchio per la tecnica oggi è considerato un corpo (non un uomo) di 40-50 anni – Certamente “non è solo di decrepitudine cellulare che si parla” – come dice Barbara ma è la tecnica che detta legge.
Secondo me la realtà non permetterà all’essere umano di invecchiare biologicamente e se lo permetterà lo farà solo in funzione di un interesse di “business” – pertanto l’uomo non avrà la possibilità di formare il suo carattere compiutamente, di comprendere cosa è il vero amore, non potrà imparare a godere di se stesso, della sua vita, non avrà interessi corporali, personali, non potrà relazionarsi eroticamente in modo più consapevole o in qualunque altro modo – come unico – con il mondo – morirà: né sazio – né stanco perché che ci piaccia o no, è tutto tanto veloce – l’uomo è oramai considerato alla stregua di un cellulare o di una lavatrice – ha una durata prestabilita dalla tecnica.
Unica destrutturazione di interesse rispetto a quelle evidenziate dal Professore, sempre secondo me, sarà la prima – quella tra l’Io e il proprio corpo per cui a far senso non è più il mondo, ma il corpo che la vecchiaia (stabilita dalla tecnica) trasforma da soggetto di intenzioni a oggetto d’attenzione.
Tornando alla tecnica e alla corrosione del trono di Dio
Mi sento di sottolineare che, secondo me, “la trasformazione dell’uomo rispetto alla trasformazione del mondo è rimasta troppo indietro (il gap è troppo ampio) – il divario tra la cultura soggettiva e la cultura oggettiva della tecnica è incolmabile” – la nostra morale non è più all’altezza della situazione – a mio avviso non lo sarà più perché ” l’uomo non riuscirà più ad interiorizzare la produzione dell’intelligenza senz’anima della tecnica e del pensiero tecnico”…”.
“[..] Non c’è più alcuna ragione di prendere la vita in maniera difficile e addirittura di lamentarsi […]– e se Dio non fosse la verità […] Se egli fosse la vanità, la bramosia del potere, l’impazienza, il terrore, l’estasiato ed inorridito delirio degli uomini? “ (93. Che cos’è verità – Aurora) – aggiungo – o delirio della tecnica?
Forse tutta l’umanità è soltanto una fase evolutiva di una determinata specie animale di durata limitata: sicché l’uomo è divenuto da una scimmia e in scimmia ancora si trasformerà […]
247. Circolo dell’umanità – Umano, troppo Umano
Magari si trasformerà prima in “androide” – pensando ad Asuna – la ragazza androide giapponese dallo sguardo umano…
Come dicevo non posso escludere razionalmente nessuno dei concetti riportati da Mauro Pastore:
– in riferimento a von Hartmann – che “la morte di ciascun ente e la fine del mondo possa essere un evento trasformativo di passaggio privo di tragedie o drammi veri: infatti la coscienza razionale, dominata dalle istanze inconsce, paventa senza poter prevedere”.
– in riferimento ad Edgar Allan Poe – il valore del concetto di “autoannichilimento cosmico”
Sono totalmente d’accordo quando Mauro Pastore scrive che “In pratica, il pensiero applicato ai destini ultimi della natura e del cosmo non trova ragioni per affermare una fine, al contrario trova obiezioni logiche al tentativo di affermarla” – detto ciò il reperimento delle essenze potrebbe non avere l’uomo come verità ultima…-
– ed in ultimo, di fronte alla questione religiosa – che “medita il tempo per scorgervi l’eternità inventando azioni e pratiche al fine di giovare alla vita” … “Le filosofie razionaliste ed illuministe valgono entro i limiti delle proprie anguste premesse, oltre forzano i propri limiti incontrando il fallimento.”
“[…] Non c’è più alcuna ragione di prendere la vita in maniera difficile e addirittura di lamentarsi […]
Grazie a tutti per la partecipazione.
Ringrazio Alessandro per il suo commento, che ho letto con riconoscente interesse e che mi fornisce l’occasione di rendere più comprensibile il mio pensiero (magari ci riuscissi davvero!).
Dunque, a parte la mia domanda provocatoria che Alessandro ha riportato nel suo commento, posso fornire una sintesi di ciò che ho scritto su questo sito con la frase “non è la tecnologia che rende l’uomo schiavo, bensì il suo mancato sviluppo spirituale”.
Se confronto questa frase con l’altra che Alessandro scrive, riferendosi al prof. Galimberti: – “l’uomo ormai e’ uno strumento della tecnica e non viceversa. Il dispiegarsi di questo potere ha il germe nella cultura stessa della metafisica occidentale, nel voler afferrare e carpire i segreti dell’ignoto atraverso la razionalizzazione di tutto. La tecnica come illusione di sconfiggere la morte vista come anientamento, il voler continuare ad esistere dominando tutto.”-, EBBENE, se confronto queste due frasi, mi sembra che esprimano entrambe lo stesso concetto.
Prego vivamente chiunque vorrà farlo, di correggermi se ho sbagliato la mia interpretazione.
Tuttavia, desidero anche tentare un chiarimento ulteriore.
Esiste una differenza importante tra la condizione di dipendenza e la condizione di schiavitù.
La prima è insopprimibile, la seconda variamente modificabile.
Se rappresento la condizione di dipendenza con l’immagine di un cavallo, direi che l’individuo pienamente spirituale (l’illuminato) deve solo sedersi in sella e il cavallo lo porterà esattamente dove il conducente vuole andare; l’individuo totalmente schiavo, invece, dovrà camminare portandosi il cavallo sulla schiena.
Tra questi due estremi caricaturali esiste un’infinita casistica di umani più o meno spirituali, ma la regola è sempre la stessa: maggiore la spiritualità, maggiore l’efficacia e il beneficio che si potranno trarre dal rapporto di dipendenza (azzardo, come sempre, un collegamento con il Vangelo: Matteo 6, 25-34. Il mio primo giudizio, leggendo tali versetti, mi fa pensare che siano crudelmente utopistici. Tuttavia, quasi sempre il mio primo giudizio è limitato perché, per realizzarlo, utilizzo solo o principalmente la mia mente razionale. Quando, ad un secondo o terzo o millesimo giudizio, pervengo ad utilizzare ampiamente anche la mia mente non razionale, allora la mia comprensione cambia).
Del resto, quando Alessandro dice che sarebbe bello se l’uomo controllasse la tecnica guidato dall’amore …. le parole chiave da approfondire, a mio avviso, sono la parola “amore” e la parola ” se”.
Ringrazio Barbara per il suo commento molto interessante. Siamo quindi d’accordo sulla necessita’ di riscoprire e sviluppare un pensiero spirituale, meditante, per bilanciare il pensiero calcolante oggi prevalente. Penso che l’uomo devrebbe abbandonare la sua posizione centrica con assunta pretesa di poter dominare e manipolare tutto, e tornare a sentirsi parte e in armonia con la Natura. Ma tale uomo sarebbe radicalmente diverso da quello della nostra cultura occidentale e abbandonerebbe necessariamente gran parte degli odierni apparati tecnologici in quanto dannosi al pianeta e a se stesso.
Ma quello che vedo e’ il diffondersi della cultura occidentale su tutto il pianeta con la scomparsa di quelle culture che hanno ancora una connessione con la Madre Terra. Ecco perche’ ho scritto che vedo l’uomo come strumento della tecnica. Ma naturalmente mi fa piacere il commento di Barbara e di tutti coloro che pensano ad un’alternativa piu’ spirituale perche’ significa che rimane, seppur flebile, la possibilita’ di un’inversione di tendenza. Grazie a tutti, saluti.
Il buon senso vorrebbe proprio che tacessi, ovviamente, ma oggi, di buon senso, non ne ho molto.
Non ci sono dubbi che la gestione dell’energia nucleare E’ un problema; non ci sono dubbi che la gestione del rifornimento di idrocarburi E’ un problema; non ci sono dubbi che la gestione dello smaltimento rifiuti E’ un problema; E SOPRATTUTTO, NON CI SONO DUBBI CHE TUTTI QUESTI PROBLEMI NON SONO SOLO DI NATURA ECOLOGICA (che altrimenti si sarebbero risolti da tempo, proprio grazie alla tecnologia) MA ANCHE DI NATURA ECONOMICA E, QUINDI, POLITICA.
E allora?
Da quando rifiutare i problemi rappresenta un modo per risolverli?
Le persone come il prof. Galimberti, che lanciano campanelli d’allarme e mettono in guardia dal continuare ad andare avanti ciecamente (io proporrei di tradurre “ciecamente” con “in modo anarchico e disorganizzato”) non potranno mai essere efficaci se la maggior parte delle persone che ascolta (o legge) continua a pensare “che belle parole …. peccato che non siano realistiche”, oppure “questa sì che è la verità … distruggiamo tutto, aboliamo tutto …. torniamo a zappare la terra!”.
Quale terra? Mi viene da chiedere. E con quali zappe? Mi viene da aggiungere.
Ecco cosa intendevo con la mia critica ai sistemi accademici: non si può riempire la mente delle persone (per di più giovani) di belle parole che non producono niente di bello.
Stiamo assistendo, consapevolmente o meno, alla progressiva implosione della democrazia … perché questa, essendo un sistema di governo incommensurabilmente costoso, ha bisogno che il popolo (cioè le persone) sia intelligente e sappia capire come, gettando un sassolino nello stagno OGGI possa creare uno tsunami nell’oceano DOMANI. La persone che vogliono vivere in una democrazia hanno bisogno della tracciabilità delle decisioni perfino più di quanto i consumatori abbiano bisogno della tracciabilità dei prodotti.
Cosa sto comprando quando decido di dare il mio voto al tale politico? In che modo il soddisfacimento di un mio interesse personale IMMEDIATO si ripercuoterà sui MIEI interessi futuri e molto futuri? (oggi, infatti, il tempo è in fase di accelerazione crescente e ciò che riteniamo essere “molto futuro” è più vicino di quanto immaginiamo). In che modo il mio interesse limitato verrà ad inserirsi negli interessi giganteschi di masse di persone più numerose o più organizzate e determinate che vivono perfino in altri continenti?
Siamo capaci di risalire la filiera delle nostre decisioni? E soprattutto vogliamo davvero impegnarci ad esserne capaci? O ci fermiamo ad abboccare al primo amo che ci viene lanciato?
Perché se voglio preservare il mio diritto a vivere in una democrazia (e non in una teocrazia islamica) devo imparare come prima regola che l’esistenza di ogni MIO diritto dipende dall’applicazione di un MIO dovere. Democrazia non significa anarchia o lotta alle gerarchie e alle autorità: democrazia significa essere persone, anziché sudditi o schiavi. Ed essere persone richiede quell’intelligenza che ci insegna a vedere lontano.
I problemi si risolvono guardandoli in faccia e, soprattutto, accettando di volerli risolvere, non ficcando la testa sotto la sabbia (o Madre Terra che sia).
Ci sono esseri umani che ritengono di avere sufficienti informazioni per prendere posizioni definitive nei riguardi della vita, altri no– per molti ci sono cose che possono essere comprese ed accettate, “sopportate”, per altri no – sarebbe utile a mio avviso non giudicare nessuno in quanto indipendentemente dalla quantità/qualità di informazioni reperite, sappiamo che “non esistono fatti, ma solo interpretazioni” – a meno che non si parli di “grandi saggi” – illuminati, appunto…
Principio di realtà
Freud si accorse che la psiche era governata da una pulsione al piacere, che chiamò Eros, e da una pulsione distruttiva che chiamò Thanatos.
La pulsione di morte secondo Freud sarebbe indirizzata alla scarica totale di tutti gli impulsi vitali, un autopunizione derivante dall’impossibilità del piacere. Essa può venire tenuta dentro di sé e provocare quindi comportamenti autodistruttivi, oppure essere convogliata verso l’esterno.
Principio di realtà prevede l’accettazione di uno stato di tensione in cambio, in un prossimo futuro, di un piacere maggiore o di un dolore minore – “adatta” il soddisfacimento del desiderio alle situazioni avverse, è attribuito all’Io e scaturisce dalla contrapposizione tra l’Es e la realtà esterna.
Il principio di realtà non vieta al principio di piacere di esprimersi ma lo riporta entro certi “limiti di azione”.
L’uomo moderno agisce e pensa secondo le regole della tecnica che non tengono in considerazione ciò che è buono, bello, giusto, santo ma ciò che funziona secondo criteri di efficacia ed efficienza (l’efficacia è la capacità di raggiungere un obiettivo, l’efficienza valuta l’abilità di farlo impiegando le risorse minime indispensabili/le risorse ritenute sacrificabili).
Un’amica mi ha raccontato che i Professori del liceo scientifico dove il figlio (ragazzo intelligente, sensibile, riflessivo ma non sufficientemente veloce) studiava le hanno detto che LM aveva un problema ad accettare il principio di realtà e che se non si fosse “allineato” adeguatamente sarebbe stato espulso dall’apparato…fatto doloroso, ma reale, è avvenuto.
Tutte le nostre azioni risalgono ad apprezzamenti di valore – propri oppure accettati – questi ultimi sono di gran lunga maggiori di numero – li accettiamo per paura, perché riteniamo più conveniente fingere che essi siano anche i nostri, così ci abituiamo a questa finzione ed essa finisce per essere la nostra natura.
Chi non si allinea viene espulso dall’apparato – non possiamo parlare dunque né di Amore, né di Spiritualità, né di Felicità, né di Giustizia. Ricordiamo che l’uomo maggiormente morale ha creduto, crede, che l’unica condizione giustificata degli esseri umani di fronte alla morale sia l’estrema infelicità.
Per i virtuosi è cosa buona e giusta portare la loro fascina sul rogo del condannato…
Ogni gradino dello sviluppo ha portato ad una felicità particolare non suscettibile di confronti, né più alta né più bassa, appunto, peculiare. Lo sviluppo non vuole la felicità, bensì lo sviluppo e nient’altro: soltanto se l’umanità avesse una meta universalmente riconosciuta, si potrebbe proporre che agire in questo e in quel modo è un dovere.
Interessante “l’inconscio collettivo” – Interessante come il giudizio di singoli potenti (condizionati dal pensiero tecnico) influisca straordinariamente ed in maniera irrazionale sulla grande maggioranza…
Potremmo non parlare di schiavitù nella misura in cui il desiderio del singolo, la creatività del singolo, che non abbia interesse ad “accettare” apprezzamenti di valore comuni, possa esprimersi ed essere riconosciuto.
Per quanto riguarda la tecnica, credo che l’uomo non introduca in natura qualche cosa che già non esista in quanto fondamentalmente riproduce meccanismi naturali – pertanto la tecnica è natura essa stessa – come abbiamo evidenziato, se pensiamo alla “qualità” degli eventi infatti la tecnica potrebbe portare agli stessi risultati ( diverso è per la quantità – qui la tecnica si differenza -se si pensa al consumo delle energie rinnovabili e non rinnovabili)
Il principio di realtà prevede l’accettazione di uno stato di tensione volto al cambiamento che ha come obiettivo il raggiungimento di un piacere maggiore o un dolore minore – la meta ha come presupposto la convinzione di perseguire per il bene per se stessi e per l’umanità: – dunque un atto di fede.
Scienza e Tecnica sono strettamente collegate ed hanno come presupposto la stessa “fede” – non esiste una scienza “scevra di presupposti”.
La domanda se sia necessaria la verità, non soltanto deve avere avuto già in precedenza risposta affermativa, ma deve averla avuta in grado tale da mettere in evidenza il principio, la fede, la convinzione che “niente è più necessario della verità e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano”. Questa incondizionata volontà di verità, che cos’è dunque?
…Ebbene, si sarà compreso dove voglio arrivare, vale a dire che è pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza; che anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall’incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina… Ma come è possibile, se proprio questo diventa sempre più incredibile, se niente più si rivela divino salvo l’errore, la cecità, la menzogna…. ( La gaia scienza )
La vita di Gesù ed i suoi insegnamenti sono stati fondamentali per lo sviluppo della cultura occidentale – Il sacrificio di Gesù è stato l’esempio d’Amore per eccellenza – Gesù è morto sulla croce duemila anni fa, chi non riesce a comprendere cosa sia cambiato da allora, personalmente, non mi sento di giudicarlo un fariseo, non mi sento di giudicarlo in nessun modo.
Il dolore è bestiale e feroce, banale, gratuito, naturale come l’aria… ritengo che l’uomo potrebbe accettare il dolore, accettare di identificarsi con la vulnerabilità, con la debolezza del proprio corpo se questo fosse “riconosciuto” come necessario / portatore di senso in alternativa la maggioranza preferirà procedere, comprensibilmente, anestetizzandolo, mortificandolo, seguirà il branco e l’impulso di potenza fine a se stesso.
L’intelligenza dell’umanità si è evoluta in modo troppo lento rispetto all’evoluzione della tecnica – la vicenda dei singolo rimane una questione personalissima rispetto agli interessi della tecnica che prescindono dall’uomo, non hanno l’uomo come fine.
L’individuo pienamente spirituale (l’illuminato – come scrive Barbara) deve solo sedersi in sella e il cavallo lo porterà esattamente dove il cavaliere “vuole” andare – Comprendo questo pensiero nella misura in cui non si parli di spiritualità ma di intelligenza umana, che guida, che conduce il cavallo…– Ad oggi possiamo solo dire che il cavaliere è stato disarcionato o meglio è stato portato dove voleva andare il cavallo – La maggioranza delle persone crede di cavalcare quando, in realtà, il cavallo è “costretta” a portarselo addosso – Per onestà intellettuale bisogna avere il coraggio di ammetterlo – il vigore di uno spirito si misurerebbe da quanta verità sia riuscito appunto a sopportare.
Quando si ammaestra la propria coscienza essa ci bacia nel tempo stesso innocui ci morde – bisognerebbe non vergognarsi della propria immoralità …per non vergognarsi della propria moralità.
Per tutti gli altri – ha detto Nietzsche “Chi continua ad esultare sul rogo, non trionfa sul dolore, bensì sul fatto che, contrariamente a quanto si aspettava, non sente alcun dolore” .
Unica speranza, per quanto mi riguarda, la possibilità di “ un antagonismo tra volontà irrazionale e intelligenza che, attraverso la coscienza, ci emanciperà dall’impulso/istinto….non il reperimento delle essenze, la verità, come obiettivo perché, come abbiamo detto, la verità potrebbe essere dannosa, la perfetta conoscenza potrebbe portare, oramai pare chiaro, all’annichilimento.
[…] della tecnica fine a se stessa”. Lo strapotere della tecnica, scrive in un saggio il filosofo Umberto Galimberti, fa perdere consistenza alla storia dell’uomo, la rende instabile. Secondo il filosofo e docente […]
Bentrovati.
Mi permetto di far notare l’omissione della soluzione chiave alla questione retorica posta dall’indispensabile Professor Umberto per la tesi di “follia anche per il dio giudaico”(nel video https://www.youtube.com/watch?v=fWDThGJ-SUY , è al minuto 22.00).
Mi permetto di indicarla a dimostrazione dell’antitesi: che il dio giudaico è quello invece costruito con più sforzo al mondo, sulla Ragione.
Nell’esempio, il dio di Abramo ha a che fare con un linguaggio(“sistema di ragione”) di pastori. La definizione “pecorari” usata a Roma rende meglio l’idea della concreta, semplice e stolida logica che muove la loro immaginazione nei lunghi e duri periodi di transumanza, che muove una cultura non basata su distanti speculazioni filosofiche d’accademia ma sulla memoria di esperienze raccontate e potenti perché da applicare alla vita di tutti i giorni. Col “sacrificio di Isacco”, il dio di Abramo deve lasciare un segno incisivo, forte da diventare facile lettura nel racconto di ogni stirpe “pecorara” a venire. Quindi la risposta giusta è: “Quel dio non sta verificando, sta semplicemente dialogando per incidere in un padre fondatore un, anzi: “il” Valore Fondante, e per riuscirci non ha altro sistema che costringerlo all’Azione, costringerlo ad una raccontabile Esperienza Concreta, in quel sistema di ragione. Per essere più tutelato diventa poi ridondante: ci aggiunge la circoncisione, e non come simbolo(i simboli sono filosofia) ma come esperienza reale individuale, modificazione della forma fisica in grado di formare direttamente un pensiero religioso modificato; ontologicamente.
Finché essere fuori da una “ragione” viene considerato follia, per quanto perfette possano essere, due “ragioni” non coincidenti sono solo due reciproche follie: non lamentiamoci poi dello straripare del Pensiero Unico.
Sempre Buone cose.
Angelo Ercoli.
Il dolore è bestiale e feroce, banale, gratuito, naturale come l’aria… ritengo che l’uomo potrebbe accettare il dolore, accettare di identificarsi con la vulnerabilità, con la debolezza del proprio corpo se questo fosse “riconosciuto” come necessario / portatore di senso in alternativa la maggioranza preferirà procedere, comprensibilmente, anestetizzandolo, mortificandolo, seguirà il branco e l’impulso di potenza fine a se stesso.