Smarrite le ultime tracce del sacro, il cristianesimo, dimentico del richiamo di Kierkegaard secondo il quale lo stadio religioso oltrepassa lo stadio etico, ha ridotto la dimensione religiosa a questione morale. E questo inevitabilmente, perché, come scrive Gianni Baget Bozzo:
Il Dio dell’Occidente, ridotto al problema del rapporto tra Dio e il mondo, diviene lentamente solo una questione etica.
Se c’è una possibilità per il cristianesimo di recuperare un rapporto con il sacro, questa possibilità passa attraverso la rinuncia, da parte del cristianesimo, a legiferare in sede morale, perché non c’è commensurabilità tra il sapere umano e il sapere divino, quindi non si può costringere il giudizio di Dio nelle regole con cui gli uomini hanno organizzato la loro ragione e confezionato le loro morali. Dio è al di là del vero e del falso, così come è al di là del bene e del male.
Dio è al di là del bene e del male, è rapportabile all’uomo solo tramite la fede. La fede è personale, il rapporto con Dio è personale. L’atteggiamento etico e quello morale dovrebbero nascere interiormente e rispecchiare la relazione che ciascuno ha con Dio. Il sacro sta proprio nel linguaggio (che non è fatto di parole) che Dio propone a ciascun uomo nella sua interiorità. Timore, tremore, amore, volontà, libera scelta, libero arbitrio, ricerca di un senso per l’esistenza: questi i componenti della nascita della fede. Nella società attuale la fede è legata al sacro se la riesci a percepire interiormente. Solo così si può accedere al senso primordiale del sacro, all’indistinto di cui si tratta nel libro.
Buongiorno!
Io, che non sono filosofo, nè psicologo, anche se nel mio lavoro divento spoesso filosofa e psicologa (sono un’insegnante di fitness, lavoro con ogni categoria di persona, dai 4 agli 80 anni) vorrei esprimere il mio pensiero, in proposito, con molta semplicità:
qualcosa di sacro è qualcosa di “prezioso”.
Ciò che è prezioso è automaticamente “raro”.
Ora, viviamo in una società in cui si tende ad avere tutto, anche quando non se ne ha bisogno o non si può permetterselo.
Il concetto di prezioso è diventato molto relativo.
Se la vita perde il suo valore, essendo essa dono di Dio, anche la sacralità del Cristionesimo si spegne.
Fine del ragionamento.
Bisognerebbe “solo” recuperare quei valori che ora “sembra” non vadano più di moda e si sente la loro mancanza e quindi si ricercano solo quando le cose vanno male.
Hai mai sentito un bambino salutare un anziano con un “Buongiorno”?
Mio nonno mi ha insegnato il rispetto e me l’ha insegnato sorridendo, mio nonno ovviamente ha fatto la guerra, quindi, uno si chiederebbe:”Che c’avrà mai da ridere?”
Dio è Amore…e l’amore, ahimè, è diventato sacro, nen senso di raro….
Buona giornata
Marika Cobianchi
L’unica sacralità e bene che riceviamo; è la vita. Che da milioni di anni l’animale uomo ha cercato e cerca ancora, di viverla nel miglior modo possibile. Il guaio è che spesso la maggior parte se ne dimenticano, o finge. Il resto è tutto un mescolarsi di ignoranza, stimoli ancestrali, che fanno deviare l’uomo dalla strada del bene comune, che è la socialità, la convivenza e l’aiuto reciproco. Se questo è fede religiosa, o senso civico, cosa importa metterci l’etichetta di fabbrica.
Da anni seguo il professore Galimberti. Non sto a citare profeti, filosofi e quanto altro. Coma tanti sento l’angoscia di vivere in una societa nichilista e dominata da una tecnica fine a se stessa, che toglie il palcoscenico all’uomo, svalorizzandolo e riducendolo ad un mero funzionario, sostitubile coma i mattoncini della lego, un operai anonimo, che serve ubbidiente il padrone, il quale ignora i suoi sentimenti, i suoi sogni e le sue speranze. Il denaro ci ha dato la comodità e il lusso, la tecnica ci ha privati dell’umanità e delle capacita di vivere secondo natura. Al di fuori di un anonimo palazza di vetro, le stagioni si succedono senza che influenzino gli inquilini di quel palazzo. Che sono come gli dei olimpici, che hanno scacciato dai loro palazzi i guai di pandora, regalandoli ai paesi del terzo mondo.
Il Cristianesimo non potrà mai avere un recupero del rapporto con il Sacro, perchè supporre l’incarnazione di Dio e la successiva discesa dello Spirito Santo tra gli Apostoli a da loro a tutta la comunità umana, Ebrei e Gentili, significa rompere completamente con il Dio della Bibbia e con il Sacro e trasformare il tutto in qualcosa di “Umano, troppo umano”.
Quando Lutero al tempo della riforma cerca di rifondare il Cristianesimo partendo da una rilettura attenta dei Libri sacri, consapevole di questa desacralizzazione e di questa separazione tra bene e male, che piu non appartiene a Dio, ma all’uomo, attacca il Libero arbitrio di Erasmo da Rotterdam, e nella sua rifondazione tenta di ristabilire un rapporto diretto tra peccatore e Dio, limitando l’attività mediatrice della Chiesa.
Dalle letture che ho fatto tra cui Storia del Cristianesimo di Bonaiuti si può dedurre che, in Lutero, questo senso di incompletezza del senso del bene e del male umano, rispetto al corrispondente senso perfetto di esso che Dio solo possiede, lo mettesse in una specie di continua ansia o insicurezza interiore, di timor di Dio. Per cui il cristiano che per questo limite troppo umano ha pochissime possibilità di raggiungere la salvezza senza la predestinazione di Dio.
Così come la Chiesa ha lasciato a Marx la primogenitura del Socialismo, visto che se avesse avesse detto che il Cristianesimo è stata una delle prime forme di Comunismo, avrebbe dovuto giustificare di essere andata nel tempo in tutt’altra direzione, oggigiorno si riduce il Protestantesimo ad una presa di posizione contro le indulgenze e la corruzione della Chiesa, lesciando da parte questa intenzione rifondativa.
E chi meglio di Nietzsche poteva essere anticipatore di una discussione circa “la morte di Dio” essendo figlio di un pastore luterano.
Saluti,
Sergio Torre
Incarnazione nel senso di uomo-Dio, non nel senso di un uomo che è Dio e neppure Gesù fa eccezione. Trinità nell senso di tre rappresentazioni astoriche, non Gesù, Giuseppe e Maria. Per una critica autentica ci vogliono quanto meno corrette informazioni , oltre il comune sentire che spesso non è sentire autentico.
Mauro Pastore
La storia non si fà ne con i se ne con i ma… grazie a Dio.
“Carpe diem” e altre simili locuzioni; però St. Agostino più di ogni altro introduce la speranza. Forse è questo che manca oggi all’uomo e ai cristiani (anch’essi uomini): la speranza. Dopotutto ti rendi conto che l’unico modo per sopravvivere qui è lottare, non pregare o sperare in un cielo che accolga lieto le nostre anime dopo una vita di fatiche. La speranza semmai aiuta a perseguire un obiettivo, talvolta è forviante poiché ci illude, e il cielo c’è sempre stato. Credo che l’uomo, oggi più che mai, pensi al mondo come unico luogo in cui vivere “eterno”, e pertanto perché mai dovrebbe alzare lo sguardo? Nemmeno i “preti” lo fanno più…
Carissimo professore,
ahimè, ci risiamo! Sono stati trovati i miracoli di Giovanni XXIII e di Wojtila!
Peraltro, durante una recente commemorazione del cardinale Colasuonno, avvenuta nel suo paese natale, Grumo Appula, un rappresentante della Santa Sede ivi presente, non so se monsignore o arcivescovo o che so io, ad una sollecitazione del pubblico a che il Colasuonno venisse fatto santo, suggerì: “Ma voi cittadini muovetevi, trovate il miracolo!” . Sogno o son desto?
Cordialità
Il “mistero” di Dio
La discussione intorno alla figura di Dio andrebbe avviata, a mio avviso, iniziando dai suoi dati anagrafici: luogo e data di nascita, come del resto si fa con qualsiasi personaggio storico, importante o meno che sia, per inquadrarlo correttamente nell’ambiente sociale, storico ed economico. Dio nasce nella mente degli uomini preistorici circa 50 mila anni fa (volendo essere espansivi con il mondo religioso) nel paleolitico superiore, come idea allo stato embrionale, come senso di stupore, paura e manifestazione di atteggiamenti misteriosi nei confronti della morte. I nostri antenati, con l’inizio dell’inumazione nelle tombe, depositavano in esse, quale corredo del defunto, una serie di oggetti: monili, denti di animali, conchiglie, palline di ocra, arnesi da caccia, immaginando la continuità della vita in un misterioso aldilà. Dio nasce e si sviluppa dal sentimento di paura e dal terrore della morte, un vero trauma non solo per i nostri progenitori ma anche per molti uomini del presente. Nei rapporti con la natura l’uomo primitivo esprime invece forme di vitalità senza panico, riproduce fedelmente le scene reali della vita. E’ quello che succede a partire dai 30 mila anni a.c. con la pittura rupestre. Vengono raffigurati nelle grotte animali e scene di caccia, con una simbologia che fa pensare a riti propiziatori di una buona caccia (grotta del Lascaux, Francia). Questo legame molto forte con la natura, con gli animali in particolare, che costituivano una preziosa fonte di cibo (gazzelle, bisonti, ecc.) venne via via ideologizzato fino ad una vera e propria venerazione.
Nel neolitico (10 mila anni a.c.) la vita diventa stanziale in grandi aree (Europa Asia) e l’attenzione viene rivolta alla terra da cui provengono i prodotti del sostentamento. La terra genera la vita. La terra è madre come la donna che genera la prole. Vengono riprodotte statuette d’argilla con grossi seni e fianchi abbondanti . Nasce il culto della fertilità, un Dio al femminile che verrà invocato e pregato affinché produca abbondanza di messe e crescita di animali. Con la suddivisione del lavoro subentra la società patriarcale e le divinità al maschile, che si differenziano in virtù del potere sociale dei governanti. Il Dio dell’antico Egitto (III-I millennio a.c.) o meglio le numerose divinità, sono animali, piante e addirittura pietre. Vengono venerati serpenti, coccodrilli, arieti, gatti e scarabei. Il Dio più potente è Horo, raffigurato con un uomo dalla testa di falco e disco solare, emanazione del potere del faraone.
Nella Mesopotamia (III – I millennio a.c.) vengono elencati ben 1970 nomi divini, tra cui: Enlil (Dio dei fenomeni atmosferici), Enki (Dio delle acque sotterranee), An (Dio del cielo), Utu (Dio del sole), Nanna (Dio della luna), Inanna o Ishtar (Dea della stella Venere).
Nell’Anatolia (attuale Turchia, II – I millennio a.c.) si contano un migliaio di divinità, divisi per gerarchia (superi ed inferi), per sesso, per area geografica, per città. Spiccano le divinità cosmiche, dei fenomeni atmosferici: Katahha (Dea madre), Estan (Dio Sole), Saru (Dio della tempesta) ed ancora permane Istar (Dea dell’amore). Vi è traccia dello Zoomorfismo (divinità collegate agli animali, in particolare al toro e al cervo) nel III millennio a.c. Interessante notare come ad alcune divinità vengano attribuite attività e desideri sessuali (la mente inizia a sbizzarrirsi). Kumarbi (il coppiere del dio celeste) si accoppia con la roccia e dal rapporto nasce il “mostro di pietra”; la dea Ishtar viene sedotta da Hullicummi e da Hedammu; la stessa Ishtar subisce un tentativo di violenza da parte del monte Pisaisa (provate ad immaginare l’organo sessuale della montagna). Non mancano accoppiamenti tra divinità, uomini e animali. In un racconto il dio Sole viene attratto da una vacca; si traveste da uomo e si unisce amorosamente con l’animale (c’era, evidentemente, carestia di sesso tra le divinità).
Le divinità si “avvicinano” sempre di più agli uomini e vengono loro conferiti poteri straordinari: diventano giudici del comportamento umano, comminano pene in virtù delle “colpe”, inviano pestilenze che uccidono una moltitudine di persone (la pestilenza del XVI secolo a.c. che colpì gli Ittiti). Gli uomini per placare le ire degli dei offrono sacrifici e, tra questi, anche esseri umani, successivamente sostituiti con animali.
Gli dei dell’antica Grecia (VII secolo a.c.) assomigliano agli uomini ma sono immortali. Vivono nell’Olimpo (la montagna più alta) senza lavorare: banchettano con le offerte dei mortali, svolgono attività sessuale, anche incestuosa con madri, figlie e sorelle. Quando le offerte ed i sacrifici in loro onore risultano carenti, rinfrescano la memoria ai mortali lanciando fulmini e saette. Un paragone calzante con i moderni usurai che tengono sotto scacco la società civile di intere regioni italiane. Ed arriviamo al Dio unico ebraico, cristiano, musulmano. E qui bisogna stare attenti anche all’uso delle parole per non finire nella sfera del vilipendio, o peggio ancora sulla forca (in Iran vige la pena di morte per apostasia). Queste religioni monoteiste sono accomunate da alcuni lineamenti, tra cui spiccano: maschilismo, sessuofobia, schiavismo. Il Dio del vecchio testamento ha le sembianze umane: parla con Abramo e Mosè (possiede quindi le corde vocali). E’ vendicativo, alimenta l’odio, uccide i primogeniti degli egiziani, compresi gli animali. Chiede ad Abramo di uccidere l’unico figlio che possiede. Classifica gli animali (che lui stesso avrebbe creato) in puri ed impuri (povere bestie). Impone regole dappertutto, dai rapporti sociali, a quelli sessuali. Condanna a morte gli adulteri, gli omosessuali, chi si accoppia con gli animali (povero dio sole).
Il Dio del nuovo testamento è più misericordioso ma attento a nominarlo invano, verrai punito con le pene dell’inferno.
Il Dio islamico, che si esprime direttamente nel Corano, è ancora più rigido: condanna a morte le donne adultere, chiede espressamente di uccidere i miscredenti, impone con le minacce le sue regole. Guai a chi osa ironizzare su Allah e Corano. Salman Rusdie è stato condannato a morte da una Fatwa per il suo libro “Versetti Satanici”; il regista Theo Van Gogh è stato ucciso per aver denunciato l’oppressione delle donne islamiche; Hina Saleem è stata sgozzata dal padre perché voleva allontanarsi dalla “retta via dell’Islam” e come lei, centinaia e migliaia di donne. E le vignette satiriche sul quotidiano olandese, che scherzavano sulla figura di Maometto, ve le ricordate? Stavano provocando una guerra fra due nazioni. Questo è il punto di arrivo dell’evoluzione del pensiero religioso degli ultimi 5 mila anni. L’uomo ha costruito nella sua mente una figura che ha assunto forme diverse nel tempo: da testa di falco a potenza suprema universale. Ha permesso che questa figura immaginaria si impadronisse delle sue capacità mentali e lo rendesse completamente schiavo. Dalla libertà iniziale, anche se accompagnata dalla paura, è giunto all’annientamento totale della sua personalità, autocastrandosi, cedendo gradualmente la sua libertà fino a perderla del tutto, diventando “servo di Dio”, assassino in suo nome. Bella conquista! Speriamo nei prossimi 50 mila anni.
L’uomo è più vecchio di Dio, molto più vecchio, oltre cento volte più vecchio. Tutte le divinità e i loro adepti devono rispetto all’uomo, tanto rispetto al padre che li ha generati.
Domenico Contartese – contartese@libero.it
Nel politeismo gli dèi sono metafore delle potenze più occulte e misteriose della natura. La parola “dio” non aggiunge nulla di più, infatti non ha valore descrittivo e neppure connotativo ma allusivo. Data l’oscurità della questione, viene ritenuta più adatta delle terminologie legate alla sola filosofia. La ricerca psicologica ha mostrato la natura politeista della immaginazione umana, la nostra mente opera mitopoieticamente. Nel monoteismo Dio è il contenuto cui si riferisce la vita emotiva più profonda e meno razionalizzabile. Anche questa parola è allusiva, in più in questo caso il pensiero è costretto ad operare avvalendosi in tutto e per tutto della facoltà intuitiva, dunque l’allusione è più oscura. In entrambi i casi va precisato che ciascun di noi è fatto così, inutile confondere le battaglie culturali e le contese verbali per delle polemiche reali: la mente di ogni essere umano funziona ed opera in questo modo. Vi sono culture teiste e non teiste, ma pure religioni teiste e non teiste. Esiste per esempio un buddhismo ateo, oppure una filosofia non teista che si occupa di ciò che la filosofia teista chiama Dio. Nei fatti la discussione in merito alle espressioni culturali non andrebbe usata per avvalorare tesi sulla inesistenza di Dio. La psicologia trova l’idea di Dioin ciascuno di noi, indipendentemente dal linguaggio psicologico usato. Io sto usando un linguaggio teista, nei fatti non è possibile dar torto a una espressione in quanto tale. La tesi dell’idea di Dio quale costruzione mentale arbitraria è palesemente confutata non solo dalle ricerche psicologiche ma anche da quelle antropologiche, per le quali la religione è manifestamente utile ed è connaturata alla esistenza umana. Che sia religione positiva, con culti oppure riti, o sia religione vissuta solo nell’intimo, che sia teista o non teista, questo è altro discorso. La genesi di un pensiero collettivo va considerata utilizzando (e rispettando) le dichiarazioni altrui, dunque se alla ignoranza sulla umanità si aggiunge la mancanza di ascolto vero è facile che il disinteresse per la possibilità religiosa e per il suo effettivo compiersi venga usato quale arma per dar torto alle immaginazioni ed emozioni umane. Chi si addentra molto nella religione avverte il bisogno del rito, azione che è rappresentazione emotiva, altri restano alla valutazione delle immagini mentali, dunque sono legati al mito, espressione dell’anima. Costruire una storia delle sciocchezze dette su Dio e la religione è possibile, ma io vi includerei anche l’intolleranza che confonde un errore di percorso per il percorso, d’altronde questa intolleranza è l’errore madornale che impedisce la stessa partenza. L’uomo è animale religioso, afferma la psicologia che si occupa di queste faccende, ma vero è che la dedizione alla religione a volte può mancare o esser poca, questa è possibilità della libertà, è vero pure che esiste la falsa religione fatta di forme vuote. Le affermazioni sulla inesistenza di Dio sono dogmatiche quanto le affermazioni della sua esistenza, se dunque le idee professano Dio e la religione una sciocchezza si autodefiniscono contraddittorie. Diverso è il caso del confronto tra teismo e non teismo religiosi. Una frangia razionalista dell’Illuminismo venne felicemente additata quale setta distrattamente devota alla dèa ragione; il marxismo fu giustamente indicato quale un movimento politico inconsapevolmente religioso ma ciecamente ostile alle epressioni della vita religiosa della maggioranza degli occidentali; il freudianesimo fu opportunamente descritto come un settarismo incapace di riconoscersi religioso e intollerantemente e inconsapevolmente portato a limitare l’altrui religiosità con la propria. Un sentimento o una emozione non possono essere un torto, la politica deve rispettare le scelte religiose, una terapia non è tale se opera persuasione occulta. Tuttavia i tristi fasti dell’intolleranza, dal ‘700 ai nostri giorni, tra artisti umiliati, le mummie dei capi comunisti esposte nei mausolei e gli psicofarmaci prescritti in quantità proporzionale alla intensità della vita religiosa del presunto paziente, continuano tristemente ancora oggi. Il pensatore meccanicista che finge di non vedere il fulmine durante un temporale, il politico che chiude le orecchie per ignorare i discorsi del religioso, il sedicente analista che intende rendere meno religioso il suo paziente e invece pensa di avergli trovato un disturbo: non è ancora finito questo mondo. Poi c’è il semplice fraintenditore, ma quasi sempre l’errore non è senza conseguenze. Insomma, a voler tirare le somme, a parte il caso di quelli che non sanno esprimersi per via di ambienti ignoranti o fuorvianti, non si può negare il vissuto religioso per criticare la religione. Oggi va di moda il ricorso all’opera di Freud come arma antireligiosa. Che Freud idoleggiasse Sofocle e tentasse di idolatrare l’Edipo è facile a capirsi, più difficile è capire che non aveva neppure gli strumenti psicologici professionali per analizzare il mito o un suo elemento. Dunque è spiacevole sentire sempre la solita omelia sulla forza del sesso e sulla inesistenza di Dio: dato che l’istinto è tale, è forte, dove sarebbe il problema?
Riguardo a Kierkegaard, sapeva che nel racconto biblico si dice di Abramo che era in colpa per aver frainteso il valore simbolico dell’offerta a Dio e aver optato per l’abuso. Kierkegaard però metteva in luce il valore della fede, capace di moderare la violenza anche nel colpevole se questo voleva aver fede in Dio. Dicevo prima che l’antropologia ha ampiamente verificato il valore positivo della religione nella vita, che ovviamente non cancella la possibilità della aberrazione, ma la rende meno dura è dannosa.
Mauro Pastore
“Rinuncia a legiferare in sede morale”, trovo scritto; io però aggiungo che fuori sede morale tutte le religioni si occupano di etica e si traducono in regole. Si tratta allora di considerare la religione quale premessa (pre-messa…) necessaria ma non sufficiente per una etica nella vita. A questo punto però non si pretenda unità dalla morale né determinismo religioso nei confronti della morale. Sebbene di fatto etica e morale a volte siano da identificare, nel nostro caso sto parlando della morale che nasce nel campo etico aperto dalla religione pur senza coincidervi; cioè della morale in senso autentico. La morale delle fiabe, per intenderci, non dipende dalla fantasia di chi racconta o di chi ascolta. A parte questo, è vero che la sfera religiosa dell’esistenza permette, aprendosi all’Assoluto, la piena realizzazione etica, come mostrò Kierkegaard nelle cosiddette “opere pseudonime”, ma è pur vero che proprio tale genesi, in presenza della differenza tra religiosità od anche tra religioni, non consente una sola etica quindi tra le molteplici morali resta impossibile un confronto necessario. La morale della fiaba di Cenerentola non è paragonabile a quella della fiaba di Cappuccetto Rosso, da una parte il pensiero della nobiltà, dall’altra lo spirito marziale (mi si consenta d’essere oscuro).; l’etica del samurai differisce incommensurabilmente dall’etica di un boy scout. Oltretutto non si può risolvere il confronto religioso in affermazioni di superiorità, ancor meno possibile sarebbe supportare tali affermazioni con false ragioni etiche o false morali, dato che è dal campo religioso che nasce la sfera etica e da questo campo si crea la morale. Kierkegaard in opere definite talvolta “apologetiche” mostrava la necessità da parte dell’etico, che non è necessità etica, a schierarsi e a trovare il consenso universale solo nel paragone tra risultati etici differenti e non unificabili. Così dopo aver mostrato che una filosofia cristiana doveva passare attraverso una esperienza mistica cristiana e non continuare opere di compromessi difensivi o effimere ricreazioni, le sue apologie mostravano una filosofia schierata, di parte cristiana, mentre nel suo diario annotava che le sue meditazioni potevano servire ad altre religiosità o religioni per via, si badi a questo punto, di esempio paradigmatico, non imitabile dunque dai non cristiani.
Sono d’accordo che il Cristianesimo non va ridotto ad agenzia etica; ma io voglio dire che una tale riduzione coinciderebbe con la fine della stessa religione cristiana ma voglio pure aggiungere che il fenomeno religioso non va considerato in quanto fenomeno di massa se si vuole andare oltre le apparenze. Lo stesso Kierkegaard riteneva il vero Cristianesimo quello dei singoli di fronte a Dio che in tale comunanza trovavano l’uguaglianza dei credi, non nella massificazione, dietro la quale non c’è proprio nessuna religione. Perciò la questione deve essere estesa a una domanda ulteriore: dov’è il cristianesimo? Per Kierkegaard la cristianità era introvabile, da allora però sono accadute altre cose e Kierkegaard era solo un danese forse anche assai poco incline a viaggi e esplorazioni. Jung notava che i cristiani che non avevano nessuna specifica appartenenza erano milioni al suo tempo. Lo spirito collettivo non può essere identificato nelle rappresentazioni di massa, esso abita nelle forme non immediatamente sperimentabili. L’ipocrisia inganna, allora le rappresentazioni spesso oltre che differire divergono dalle forme religiose propriamente dette. La domanda del dove si interseca con quella del quando: quale è stata la più autentica storia cristiana, come si è evoluto il cristianesimo? Infatti la religione è tempo, non è Dio stesso. Benedetto Croce dava spiegazioni diverse dalle gerarchie cattoliche-romane. C. G. Jung non seguiva strade differenti, Prima ancora Kierkegaard si allontanava dalla vuotezza degli ambienti ecclesiali, ma qui si deve precisare che era ancor più lontano dalle chiede cattoliche, lo si deve fare perché in Italia si tenta spesso di leggere in pensatori non cattolici delle concezioni cattoliche o filocattoliche, questa è davvero una scorrettezza.
Saluti.
Mauro Pastore
Solo ora vedo che il mio messaggio è stato pubblicato, segnalo un errore di battitura, alla fine del testo avevo scritto “chiede cristiane” invece che “chiese cristiane”. Mi scuso, grazie.
Niente da fare, non tutte le etiche sono simili, ma non capisco perchè dobbiamo rinunciare alla nostra, non tutte le religioni sono uguali ma perchè rinunciare alla nostra? soprattutto quando so che è vera? se non c’è verità c’è solo un nichilismo depressivo.
SAluti,
Daniele
Il tal Daniele fa sfoggio di contraddizioni in termini? Non tutte le religioni uguali, ma non sarebbero uguali in cosa? Non tutte le etiche sono simili, ma quando e in che? Comunque io non sto comandando la rinuncia ad una religione, semmai la risposta di tal Daniele, che si badi ha voluto riferirla al mio testo, mostra in lui medesimo mancata identificazione della religione. Per una definizione minima della religione, si considerino ad esempio “I Sepolcri” di Ugo Foscolo. Sono nel programma delle scuole italiane, suppongo che ancora adesso i professori non rinuncino a farli leggere e capire. Inoltre non è corretto, a fronte di tante mie affermazzioni, appellarsi all’assenza di verità. Inaccettebile infine che si metta a discettare di pressioni al modo dei falsi medici e falsi studiosi che tentano di misurare il disagio esistenziale usando l’apparecchio per misurare la pressione. A parte il fatto che non sono apparecchi di misurazione ma per la misurazione, dunque non funzionano come le spie che misurano la temperatura di un frigorifero, se si volesse passare all’argomento della pressione, si dovrebbe far filosofia della natura, interessarsi alla chimica, alle osservazioni dei biologi, che riservano sorprese e costanti incognite… Non impertinente sarebbe interessarsi a qualcosa senza prevenzioni e senza oziare con la mente (quest’ultimo ragguaglio non lo ho scritto per me).
MAURO PASTORE
ma perché sembra impossibile accettare la vita così com’è … un’esperienza cosciente interessantissima, strana, unica, felice e dolorosa…. come un matrimonio … “finchè morte non ci separi”.
Ma nella vita ci sono anche le esperienze inconsce e nella vita è la stessa morte, come fine di un capello, di un sentimento o del corpo, quando resta di esso una spoglia vuota di energie (consentimi di essere quasi funereo). Consentimi pure: se mostri di praticare il linguaggio della psicologia attuale, lo si vede come usi la parola “coscienza”, dovresti pure ammettere che non esiste solo la coscienza. Nel mondo antico qualcuno pensò di avvertire dei poverini di avere i talloni o le dita o i reni, nel mondo moderno qualcuno voleva avvertire altri poverini dei loro sentimenti od emozioni… All’elogio della calvizie, seguì l’elogio della follia… Insomma non fu il dottor Freud a inventare la percezione di sé e i relativi pensieri a riguardo… Dunque, francamente, la tua reticenza a me pare celare la tua voglia di non dire quale sia la tua vera posizione intorno alle tematiche religiose espresse in questa occasione.
Sostituire la parola Dio con la parola Natura, avere in essa fede, anche se ne conoscono alcuni meccanismi, non averne ne timore ne tremore perché ne facciamo parte, trattarla con amore perché è la vita, avere la volontà di preservarla. Non credo in nessun Dio, non ne ho mai sentito il bisogno, non ho mai capito gli uomini che ci credono e per quale scopo soprattutto oggi giorno. Forse è il retaggio di un passato, una tradizione, un’usanza che viene mantenuta in vita dalle speranze e dai messaggi che continuamente la chiesa lancia, rinnovandosi per non sparire. Vorrei che le persone provassero empatia per il prossimo, avessero la capacità di immedesimarsi, di sentire quel nascosto sentimento di comunità che sta sotto a quella finta boria di essere sempre, essere in assoluto sempre unici. Forse questa crisi che sarà l’ultima perché non ci sarà nessuna crescita, darà la possibilità agli uomini di ritrovare il bisogno d’aiuto, la mancanza, la scarsità, la sofferenza ci obbligherà a ripensare a cosa sia vivere in comunità. Da quel momento in poi, obbligati per sfuggire alla morte, avremo la volontà di ripensare ad un algoritmo economico che contempli la retromarcia, che debba fare i conti non solo con pil ma anche con un sistema Naturale finito che non tollera algoritmi che ignorano la realtà, cioè che nulla è infinito, tanto meno questo pianeta. Sono andato fuori tema, ci vado sempre, fortuna per lei Galimberti che sono costretto a scrivere, dunque l’ottanta per cento delle cose che mi balenano per la testa le dimentico oppure non riesco ad inserirle nel testo per brevità.
Dio è anche natura, altra natura, anche se la natura divina non restituisce l’unità di Dio al pensiero, dato che è presente nelle sue manifestazioni molteplici. I Greci politeisti dicevano “il dio” e lo pensavano in ciascuna divinità, quelli monoteisti pensavano Dio ma dicevano anche delle divinità della natura. Non c’è nella religione impossibilità di naturalismo, solo che il monoteismo approfondisce la questione dell’unità e considera il soprannaturale come ambito suo più proprio. Perciò quando dici “Natura” propendi per una religiosità atea ignara di se stessa, ma pur sepre religione c’è. C’è riferimento all’assoluto, allora c’è religione.
Mauro Pastore
Concordo che Dio è il Tutto e comprende Bene e Male: inutile interrogarlo sui motivi del male ecc.
A questo proposito ho sentito l’intervista a un teologo cattolico un po’ controcorrente, Vito Mancuso, il quale afferma che Dio non è Onnipotente. Se ho capito bene è solo un modo di scagionare Dio dall’accusa di essere responsabile del Male che vediamo tutti i giorni, e quindi perpetuare l’immagine umanizzata di un Dio-Padre-buono. Però mi è piacuto sentirlo – sempre Mancuso – contestare il peccato originale. Secondo lui sono stati creati insieme sia il caos che il logos, e non prima il caos da cui è sorto il male distinto a causa del peccato originale.
Io preferisco la visione “tragica” del mondo, e leggo la Genesi come una bellissima metafora degli albori dell’umanità, quando nella nostra specia si è accesa la luce della consapevolezza, quando dal caos dell’inconscio è emersa la razionalità (linguaggio). Il bello è che in noi continuano a convivere questi due modi di sentire: quello irrazionale (emozioni, sensazioni non verbali, sintetico, atemporale) e quello razionale (verbale, logico, sequenziale, analitico, temporale, col quale cerchiamo di dare ordine al mondo e alla società).
E’ pazzesco che di quell’evento così importante, il momento in cui ci siamo distinti dagli animali, sia rimasta traccia scritta. E in forma così poetica (mangiare il frutto dell’albero del bene e del male). Ma d’altro lato è quasi logico, perchè è qualcosa che abbiamo vissuto tutti nel nostro sviluppo cognitivo nella prima infanzia, e quindi lo sentiamo nostro, e perciò è un racconto che ci piace ascoltare da più di tremila anni.
Edgar Allan Poe, che pure fu filosofo, sebbene forse in ciò ironica controfigura dello sdegno di uno sciamano verso la prepotenza di tanto pensiero occidentale, pensava giustamente Dio quale poeta e ogni umana poesia quale parte nuova del grande poema divino. Certo aveva ragione nel definire la creatività umana affatto relativa. Talora vedendo gli splendidi disegni delle nuvole nel tramonto, mi accorgo che oltre l’intervento del caso tanta bellezza ha un Artefice.
Allora, perché non pensare all’amoralità dell’arte e accettare l’insignificanza dei giudizi morali sopra l’arte? Mentre il ritratto invecchiava, Dorian Gray restava giovane, poi improvvisamente riapparve l’immagine antica sul quadro e Dorian giacque morto, col volto e il corpo consunti dal tempo. Ma la verità autentica è quella dell’anima, ove il tempo lascia tutto intatto, o quella della materia, ove tutto passa? L’artista imprigiona il tempo, per inganno lo fa sembrare fermo, immobile, la sua opera sfida i secoli, sembra donare l’immortalità all’uomo, eppure ad essere eterno è doltanto ciò che misteriosamente deve pur restare dopo la morte, dati i perfetti bilanci energetici della chimica biologica e data l’inconsistenza della spoglia. Dunque l’illusoria immortalità dell’opera nega la verità quanto l’ingannevole resto di una vita; oltre però il prodursi-distruggersi delle cose dalle cose, oltre la stessa esperienza materiale a disposizione delle scienze, si avverte la creazione del Dio, data l’impossibilità a spiegare il mondo, ove ciascun ente e ciascun evento sarebbero impediti dagli altri enti ed eventi se non vi fosse una Scaturigine e una Possibilità a consentire l’esistenza di ciascuna cosa.
Sicuramente tali considerazioni suscitano la domanda etica a causa del triste spettacolo del male, la stessa consapevolezza che bene e male siano giudizi relativi non scalfisce il senso di tedio e lutto che la tragedia del mondo susciterebbe. Infatti, ci si chiederebbe, che senso avrebbe un mondo da giudicare così pesantemente? Ma se si avverte la bellezza del Nume in una nuvola, insomma se si accoglie il senso della gloria della Creazione divina, la quale, differentemente dalla creazione umana, davvero vince il nulla, per così dire, lo lascia impotente sempre, non solo si ammette l’insensatezza di rimproverare la vita a Chi l’ha permessa e la permette, come giustamente scriveva Paolo di Tarso, ma si avverte nella vita stessa un enigma che non può essere negato dall’esistenza del bene e del male. Quali termini di una misteriosa e drammatica scena del teatro del mondo, bene e male non suscitano più alcuna domanda e le richieste di chiarimenti intellettuali sono soltanto mezzi per rafforzare il pensiero, non strumenti di verità.
Da un esatto punto di vista pragmatico, però, i giudizi etici sono necessari alla vita. Il rapporto con l’Assoluto, che Kierkegaard definiva assoluto in quanto istituito dallo stesso Assoluto, ciò che gli ontologi dicono il darsi dell’Essere, servirebbe a restituire potenza ai giudizi di bene e male, fatti per vivere meglio, consapevolmente ricondotti non all’arbitrio umano ma divino, riconosciuti semplicemente per utili.
Anche l’antopologia religiosa constata, pur nell’ottica ridotta delle scienze, l’utilità della religione per la vita. Tuttavia nella molteplicità delle culture i culti, nella loro varietà, sono rivolti a una sfera dell’esistenza non indagabile dalle scienze e non comprensibile dalle filosofie, anche se riconoscibile su piani differenti da entrambe. Allora la vera religione non è comprensibile senza intuire il senso riposto delle azioni umane, senza guardare nelle vere profondità dell’animo umano.
Per questo la vera religione non è nell’etica anche se questa è resa efficace dalla religione. Perciò per chi volesse trovarla negli scambi materiali studiati dagli esperti di economia o nei disagi mentali dovuti alle difficoltà della vita valutati dai terapeuti, si apre soltanto la possibilità dell’errore e della violenza. In questo senso sono stati il marxismo e il pensiero freudiano, nel voler andare oltre i propri angusti limiti, a precludere la comprensione della vera religione, anticipati da quell’illuminismo che non voleva finire assieme ai propri scopi ormai raggiunti e che si propose nel razionalismo hegeliano ma anche nel riduzionismo dello stesso Hegel, autore di una enciclopedia filosofica francamente indegna del vero enciclopedismo del secolo di Lumi, buona solo a rovinare le università presentando schiere di asini che invece di ragliare cinguettano.
Il cattolicesimo ufficiale, dominante attraverso l’irrigidimento delle gerarchie del clero, contrastando, spesso ferocemente, la modernità (si pensi all’internamento del Tasso, all’uccisione di Giordano Bruno, alla prigionia di Galileo Galilei, ma anche al rinnegamento dei diritti umani compiuto nel secolo decimo ottavo, poi recentemente l’esclusione del modernismo e l’adesione alle ideologie di massa, le più nemiche delle moderne democrazie), ne ha subìto le degenerazioni e non ne ha ricevuto i benefici. La demagogia del papa polacco viveva all’ombra delle esaltazioni di massa dell’Unione Sovietica, mentre gli inaccettabili giudizi contro la libertà sessuale che negli ultimi anni hanno contraddistinto i vaticini della chiesa cattolica sono collusi con le aberrazioni della malasanità, delle quali il Freud stesso era ritornato partecipe: quei “medici” che vogliono curare le masturbazioni adolescenziali attraverso l’abuso di tutela dei genitori, quegli altri “medici” che vogliono considerare l’atto omosessuale un segno di malattia e propinano cure senza neppure avvertire i malcapitati, quegli altri ancora che nel vedere una forte passione eterosessuale cercano di separare i due amanti con diagnosi inedistenti… Incapaci di ammettere l’inesperienza, incapaci di accettare un polso rilassato in un maschio o uno teso in una femmina, incapaci di vedere nei volti e nei corpi i segni tangibili dell’atto procreativo… Insomma tali soggetti sono stati modelli per il potere del clero cattolico, se potere si può definire disturbare il prossimo, e ho detto anche poco.
Dunque non solo religione ridotta ad agenzia etica, ma falsa etica, immoralità travestita da purezza, oscurantismo estremo, divenuto ormai deformazione dell’autentica natura. Un disastro che testimonia assenza. Il cristianesimo non appartiene a tutto questo inferno.
Graziosi saluti.
Mauro Pastore
Segnalo due errori di battitura: avevo scritto: “secolo di Lumi”, ovviamente intendevo: secolo dei Lumi. Più avanti, avevo scritto “diagnosi inedistenti”, intendevo: diagnosi inesistenti.
La consonante “d” mi fa pensare all’inedia… Di inedia morì, si racconta, Mahler, la cui vita fu funestata dall’intrusione di Sigmund Freud (in persona) non soltanto con una stupidissima e assurda sentenza psicologica, ma evidentemente con gravi e funeste invadenze nella vita privata del compositore. Gustav Mahler, convertito cattolico ma evidentemente consapevole del valore simbolico e astorico delle icone, quelle delle Madonne certamente non fanno eccezione, si sentì dire da Freud di volere ad ogni costo un incesto con la Vergine Maria. Il povero Gustav rifiutò un tale intervento, tra l’altro Freud non ammise mai di essere attratto dai dogmi cattolici e di essere assai frustrato per non riuscire in nessun modo a capirli. Chi non comprende il valore astorico delle icone, non può comprendere che esse rimandano a dei simboli archetipici inscritti nell’anima, a delle possibilità universali. Per Freud, pauroso di ammettere il potere numinoso delle immagini mentali più profonde, era ovvio non chiedere neppure se si stesse trattando di simboli o di donne in carne ed ossa, d’altronde le proteste dei suoi pazienti erano da lui ed altri ignorate. Convinto che la religione fosse una follia più piccola, Freud in realtà temeva la propria religiosità idolatrica, ove l’idolo era l’eroe divino Edipo, sempre frainteso da Freud a causa della sua mania di letteralizzare il suo simbolo. Dagli stessi poemi omerici non è possibile trarre storie senza ricorrere a decifrazioni, Freud invece tentò di rendere lo stesso mito di Edipo, ancora più vago dell’epos omerico, un racconto di cronaca. Dunque non abbastanza modesto per pensare il proprio vissuto religioso, Freud vestiva i falsi panni del filosofo illuminista, diventando un pessimo incontro per molti.
Certo l’inedia di Mahler aveva più vaste motivazioni della boria di uno strizzacervelli invidioso dei colleghi ormai più preparati e illustri di lui, ma certamente ritenere due amanti dei malati di amore ha condotto molte persone all’inedia quando l’intero ambiente era complice della violenza ai loro danni e la vita non offriva altri orizzonti. I lapsus spesso non sono intoppi ma provvidenzialmente accrescono il pensiero…
Mauro Pastore
Forse la rinuncia del cristianesimo di “legiferare in sede morale” rappresenta anche una via più democratica di convivenza terrena per tutti gli uomini “credenti e non”?
Cristo fonda il suo insegnamento principalmente sulla salvezza (dell’uomo) legata all’amore, amore che deriva principalmente dal perdono dell’uomo – peccatore – innanzi al suo autentico pentimento. Cristo si scaglia contro scribi e farisei definendoli maestri del nulla e sepolcri imbiancati; detentori di una morale (legge) a loro auto-referenziata che calpesta il cuore della legge (di dio) e chiude le porte del cielo agli uomini. Forse cè un parallelismo possibile con quanto lei riporta riguardo a Platone: una democrazia terrena (modello di convivenza umana) si costruisce se si ci si guarda da retori e sofisti. In altra chiave di lettura cristiana: se ci si guarda da scribi e farisei.
Per definizione Dio è al di la del bene e del male e suo Figlio assomma a se il bene e il male, non foss’altro perchè con la morte ha “sdoganato” in terra il bene e il male.
Ritengo che la modalità di manifestarsi “uomo tra gli uomini” , ancorchè di forte impatto comunicativo, sia un’iniziativa del Padre che non ha interpellato i suoi figli ma ha preventivamente considerato la possibilità di redimere i peccati attraverso il sacrificio del suo Figlio, al fine di “educare” i popoli.
Il rischio è che non cessino alcune tipologie di fanatismo che, deviando da quello che è l’essenza del messaggio evangelico, introduce l’elemento impositivo come fattore di realizzazione del processo di colonizzazione delle coscienze.
Questo processo di trasferimento di conoscenza, ma soprattutto di coscienza è avvenuto in maniera piuttosto dispersiva, senza una concreta attività civica di educazione delle coscienze.
I fanatismi sono la versione esasperata e disperante dell’attività inconciliabile di evangelizzazione.
Il futuro delle religioni passa attraverso un’educazione al rispetto del prossimo, della natura e delle legittime aspirazioni di ognuno, intervenendo sul messaggio evangelico come espressione della moderna attività educativa libera e condivisa.
La mia libertà finisce dove inizia la tua (Kant).
E’ questo l’ambito in cui tutte le religioni devono muoversi senza per questo rinunciare a diffondere il proprio credo in modo civile e rispettoso di tutti.
La linea di demarcazione, così sottile, risiede nelle coscienze di ciascuno di noi, nel rispetto che abbiamo di noi stessi e degli altri.
APOLOGIA dell’AUTODETERMINAZIONE
Per definizione Dio è al di la del bene e del male e suo Figlio assomma a se il bene e il male, non foss’altro perchè con la morte ha “sdoganato” in terra il bene e il male.
Ritengo che la modalità di manifestarsi “uomo tra gli uomini”, ancorchè di forte impatto comunicativo, sia una iniziativa del Padre che non ha interpellato i suoi figli, ma ha preventivamente considerato la possibilità di redimere i peccati attraverso il sacrificio del suo Figlio, al fine di “educare” i popoli.
Non vè da meravigliarsi se non sono cessati i fanatismi che, deviando da quello che è l’essenza del messaggio evangelico, introducono l’elemento impositivo come fattore di realizzazione del processo di colonizzazione delle coscienze.
Questo processo di trasferimento di conoscenza, ma soprattutto di coscienza è avvenuto in modo piuttosto dispersivo, senza una concreta attività civica di educazione delle coscienze.
I fanatismi sono la versione esasperata e disperante dell’attività inconciliabile di evangelizzazione critica e ragionata, con un’attività discriminante e fanatica.
Il futuro delle religioni passa attraverso un’educazione al rispetto del prossimo, della natura e delle legittime aspirazioni di ciascuno, intervenendo sul messaggio evangelico come espressione della moderna attività educativa libera e condivisa.
La mia libertà, finisce dove inizia la tua.(Kant)
E’ questo l’ambito in cui tutte le religioni devono muoversi senza per questo rinunciare a diffondere il proprio credo in maniera civile e rispettosa di tutti.
La linea di demarcazione, così sottile, risiede nelle coscienze di ciascuno di noi, nel rispetto che abbiamo di noi stessi e degli altri.
Eustachio da Matera
Non sono completamento d’accordo. Le religioni sono nate anche per stabilire delle leggi morali per la comunita’, oltre che per dare un senso alla vita e cercare di spiegare il mistero. Non mi sorprende quindi che la Chiesa dia la sua opinione su questioni etiche. Il problema e’ se questo diventa l’unica preoccupazione della Chiesa anche a discapito dello stesso spirito evangelico. Forse questo Papa sta cambiando direzione.
Il Cristianesimo non è la religione del cielo vuoto, ma la religione del cielo lontano. Una volta creato il mondo , Dio lo ha affidato alla Natura ed alle sue leggi che regolando cicli vitali e catene alimentari perfette, sarebbero in grado di garantire la vita sulla terra per sempre (se l’uomo ne avesse rispetto).
L’Amore di Dio per l’uomo è grande, ma è necessario, per la sopravvivenza del pianeta, che l’uomo rimanga sottoposto alle leggi della Natura, Dio non interviene a modificarle e questo è giusto, ma ha mandato Suo Figlio ad insegnarci l’Amore: unico potentissimo strumento/argomento per trovare non solo il senso , ma anche la forza per resistere alle difficoltà.
Siamo qui solo per fare esperienza d’Amore. Il Cielo è lontano, ma ci attende con il nostro bagaglio di esperienze .
Esperienza quotidiana di ognuno di noi è quella di alimentarci dei frutti e dei prodotti di altri esseri viventi, o degli stessi corpi di esseri viventi, uccisi e cucinati. Quanti sono quelli che si accorgono di questa realtà? Pochi, e tra questi ci sono quelli che accettano che le cose stiano così, e quelli che dirigono la propria alimentazione verso la vita vegetale, con esclusione più o meno totale di ogni forma di vita animale. Ma sono pochi, ad accorgersi che la propria vita si mantiene da sempre mediante lo sfruttamento o il mangiamento di altri esseri viventi, e che questa è una condizione condivisa da tutte le forme di vita animale: solo i vegetali sono capaci di mantenersi in vita utilizzando acqua, sali minerali, anidride carbonica ed energia solare. Per gli animali, come noi, la realtà è questa: vita sfrutta e mangia vita.
La percezione di questa realtà comune, seppur inconsapevole per abitudine automatica o per evitamento cognitivo, penso sia la base esperenziale di una sensibilità diffusa ad un sentimento di colpa indefinito, una inquietudine per inevitabile condizione d’esistenza, e di miti come quello del peccato originale. Il nostro peccato originale, facente parte della natura dell’uomo, è quello di uccidere per vivere, occupare spazio famelico e agguerrito dal momento della nascita, così come è per tutte le specie animali – anche le specie erbivore si nutrono di altra vita.
Il peccato originale è la guerra che la vita è pronta a fare contro altra vita, se necessario – mangiare è sempre necessario. Il peccato originale è l’aggressività innata: se le cose andranno sempre bene, sarà difensiva, pronta comunque ad uccidere; se le cose andranno male, sarà guerra totale, distruttiva, strage, orrore. Come la guerra che l’uomo fa a molte specie animali per nutrirsene, o per divertimento.
I cristiani cattolici praticanti hanno una realtà specifica, che si inserisce in questo quadro di vita che sfrutta e mangia altra vita; realtà di cui, anche qui, sono ben pochi ad essere consapevoli.
“Tramite la consacrazione avviene la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo, ossia la loro mutazione nella sostanza, mentre le manifestazioni esteriori rimangono invariate, sicché Cristo è realmente presente nelle specie del pane e del vino in maniera vera, sostanziale…. L’Eucaristia trae la sua origine dall’Ultima Cena di Gesù con i suoi apostoli a Gerusalemme, e nelle parole da lui proferite: . ” (Cathopedia)
“Gesù distribuì ai suoi discepoli il pane ed il vino come suo corpo e suo sangue… L’eucaristia è l’azione sacrificale durante la quale il sacerdote offre il pane e il vino a Dio, che, per opera dello Spirito Santo, diventano realmente il corpo e il sangue di Cristo… Nell’Eucarestia Gesù è presente in modo completo ed in tutta la sua persona, cioè nel Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Il miracolo consiste nel fatto che l’Eucarestia, sebbene sia sostanzialmente il corpo di Cristo, tuttavia mantiene quelli che sono gli accidenti esteriori del pane. Nella messa, infatti, viene imbandita tanto la quanto la ” (Wikipedia)
“La , come dicono i teologi, alla presenza reale è la transustanziazione: cioè Cristo si fa presente nell’eucaristia con la transustanziazione. Questa è definita così dal concilio di Trento (sess. XIII, c. 2): . (…) Per il cattolico dunque nell’eucaristia non v’è più sostanza di pane e di vino, né può dire che si annulla, ma solo che si “converte” nel corpo e nel sangue di Cristo (…) … i tentativi di ritrovare un precedente, anzi una fonte, dell’eucaristia nel totemismo e nell’omofagia…” (Treccani.it)
“In quel pane e quel vino che offriamo e attorno ai quali ci raduniamo si rinnova ogni volta il dono del corpo e del sangue di Cristo per la remissione dei nostri peccati… La missione e l’identità stessa della Chiesa sgorgano da lì, dall’Eucaristia, e lì sempre prendono forma.” (Papa Francesco, Avvenire.it)
Due affermazioni, leggendo, mi hanno sorpreso.
La prima è che il miracolo sarebbe il fatto che il pane e il vino, nonostante diventino corpo e sangue di Cristo, mantengono la forma di pane e vino. E’ strano. Sarebbe come se dicessi: adesso vi faccio vedere una magia: trasformo questo computer in una rosa, la quale rosa non si vede perché per magia resta computer.
La seconda è che ingoiare il corpo di Cristo, invece di essere il massimo dei peccati, rimette da ogni peccato. Questa seconda affermazione mi ha sorpreso meno della prima.
La morale al gatto non la si fa neppure col topo. Vecchio adagio la cui esistenza antichissima io da piccolo dedussi da fumetti e cartoni animati. Vai a prender lezioni dalle fiere se non vuoi offendere la generosità delle vacche: questo adagio esiste manifestamente nell’attuale India ma anche nel misteriosissimo mondo dei pastori dell’Europa. Quindi, l’onore della lotta è del cacciatore e della preda: la preda fa forte la propria specie col proprio esempio di valore, debolezza che avverte o grandezza che insegna. Il cacciatore mantiene la propria e offre un servizio all’altra. I più terribili predatori ne sono perfettamente consapevoli, non sempre l’umanità, che non sa essere terribile quanto potrebbe essere inopportuna (di fatto in innumerevoli casi attualmente non pratica il dovuto rispetto). La storia degli allevamenti è più antica di quella degli sfruttamenti, ma nella notte dei tempi si perdono le memorie ancestrali della pastorizia, quando era sempre priva di bestie a carico e distinta dalla semplice predazione, questa priva dell’onore della caccia. Chi ama meno durezza nella vita, chi ne ama di più: sicché molti esseri umani non scorgono il divino a causa del terrore verso abusi umani contro la natura ed a causa di illusioni umane sulla aggressività e sull’ardimento. La gazzella ama misurare la propria corsa col leone, il leone lottare col destino correndo in mezzo alle gazzelle: questo adagio lo inventai davanti a un documentario trasmesso in tivù, ma avevo già, tempo prima, sentito il ruggito di una leonessa che voleva essermi protettiva. Poi l’adagio mi fu, per così dire, confermato tempo dopo da alcuni africani venuti a vivere qui in Italia. Se la fiera ha una intelligenza nella caccia sconosciuta all’essere umano, l’istinto guerriero tra gli uomini è insuperabile nella lotta tra uomo ed uomo ma, contrariamente alle attese degli illusi, lo spirito marziale si accende furioso soltanto negli estimatori della pace e si esprime interamente soltanto nel rispetto della vita. Tali vicende naturali, se intese veramente, non oscurano ma avvicinano alla comprensione del valore delle religioni monoteiste, tra cui il Cristianesimo. Ciò che invece la impedisce sono i racconti fraintesi, i dogmi misconosciuti, i riti non identificati. Carl Gustav Jung aveva analizzato una ritualità cattolica basata sulla rievocazione storica della morte di un capo carismatico, ricordato quale “Gesù di Nazareth”: vi aveva trovato funzionale la volontà, solidale con una volontà dello stesso capo, di non finir male come lui e quindi di contemplarne la morte per evitarne una uguale o simile. Quale simbologia vi aveva trovato delle immagini di antropofagia. Questo ritualismo dall’estetica grezza ed incivile non è il vero e proprio culto cattolico quale dovrebbe essere secondo i dogmi, i quali non sono descrizione di eventi mondani ma rappresentazioni di realtà misteriose divine. Neppure l’arianesimo cristiano fu mai dotato di tali rozzi simboli e pratiche, anzi ne era e ne è fieramente avverso e non di rado era stato del tutto accettato dal cattolicesimo ufficiale. Diverso fu il destino della dottrina di Ario, celebre prete (greco) dei tempi antichi che in vita era stato tacciato di linguaggio impraticabile o debole a contrastare le blasfemie. La sua difesa, annotata su un foglio durante un concilio non gli fu permessa, il suo foglio gli fu tolto di mano e la sua dottrina fu coperta dal veto. Nel secolo Decimo Nono, il protestantesimo, in parte, si rifiutò di mantenere quel veto, definito frutto di contrasti politico-religiosi non sempre e ovunque sensati. Il regime di schiavitù voluto da alcuni antichi romani fu proibito sotto l’Impero (romano) di un cristiano ariano, Agostino di Ippona definiva iconoclasticamente gli schiavisti di Roma un manipolo di criminali gravi, assai prima Paolo di Tarso aveva salutato un occulto ed antico potere romano, già illuminato dalla giustizia, senza identificarlo nel potere ufficiale della Roma del suo tempo: io penso fosse il potere dei contadini, gli stessi che avevano costruito per il mondo il diritto. Agostino fu ucciso dai Vandali durante un combattimento al quale lui non partecipava, si ipotizzò una incomprensione, io invece penso ora che il suo apostolato a favore della pace fosse stato giudicato dai Vandali, ridotti alla fame ed alle guerre fratricide dagli intrighi e dalle frodi della corte romana, una intromissione inaccettabile e funesta, un crimine da punire. L’idoleggiamento, che faceva indignate Porfirio, della personalità del tale Gesù di Nazareth, non aveva reale presa nel medioevo europeo dominato dai poteri religiosi germanici. Il cattolicesimo artuale è dotato di varie forme di credo, alcune delle quali non fanno alcun riferimento al tale Gesù di Nazareth, che secondo le riflessioni mature di Porfirio era stato un grande difensore della vera religione misconosciuto dai suoi vicini (molti storici recenti sono giunti alle medesime conclusioni). Nello scontro tra autentica religione e vuoto formalismo extrareligioso, la grettezza e inciviltà di quelle forme di culto diffuse nel cattolicesimo, d’altronde del tutto o quasi settarie nonostante i numeri elevati che non consentono il comporsi di sette vere e proprie, tornano nella modernità diventando bestemmia inaccettabile e linguaggio violento se non peggio, ovvero idealità criminale. Si sa che la religione non assicura giustizia ma soltanto l’indebolimento degli effetti delle ingiustizie. Perciò, tra gli errori e le intrusioni, vanno identificati i veri contenuti delle fedi religiose ed i veri ambiti di applicazione dei dogmi, questi ultimi riguardano soltanto realtà spirituali. Il dogma dell’immacolata concezione viene spesso confuso con quello falso della verginità, spesso nei discorsi gli interlocutori confondono le parole costringendo tutti a confondere i termini, per questo il cinismo e l’ironia vanno usati con estrema prudenza, senza falsi ritratti di umanità inesistenti. Il Cristianesimo vero non è religione dell’umanità e non si fonda sul ricordo di nessun uomo, semmai è dotato di una propria antropologia, cosa questa che non dipende dall’operato di nessun singolo uomo: le imitazioni a riguardo non generano umanità ma… disumane stupidaggini ed aberrazioni!
Una volta raccontai a una ragazza troppo maliziosa di quando un lupo mi mostrò che la sua salivazione non era adatta a trovare piacere nel trattare i corpi degli umani come fossero di pecore, capre o vacche od altre possibili prede. Ero su alte montagne, lontane, usammo questo sistema per comunicare agli altri, io ed il lupo, che ricordo con commozione perché si era presentato accanto a un rifugio e mi aveva ricordato provvidenzialmente quanto era diverso il rapporto che io avevo con la natura da quello dei turisti attorno (e così tanti episodi della mia vita mi apparvero felicemente in mente). Spesso però i miei gesti con le fiere hanno fatto gridare, di scandali e fatti inesistenti, gli ignoranti e gli sciocchi. Un caso solo umano? Una volta feci un plateale gesto di preghiera durante una funzione cattolica per cercare di risolvere una situazione pericolosa per un’altra persona, l’intento era di scatenare una benefica e provvidenziale rissa: infatti un prete voleva maneggiare un bimbo come fosse un pupazzo di gommapiuma ed era lui, il prete, così distrattamente fanatico e insolente, che io temevo potesse recare danni al corpo del bimbo. A parte qualcuno che, mi pare, volle capire e ricordare la mia strategia, molti dissero di me che ero troppo zelante, insincero, da destinare a tante rinunce ed anche con le cattive maniere. Io in verità non ero più cattolico da tempo ed ero entrato in quell’edificio perché ero tra i conoscenti dei destinatari della funzione religiosa e mi era consentito entrare.
L’Italia è piena di monumenti religiosi medioevali, non solo di rovine o resti antichi: con un pizzico di fiducia e buon senso assieme a letture spassionate ed autonome si potrebbe ancor oggi capire il vero cattolicesimo nella sua essenza nonostante sia in oblio quasi ovunque a causa delle cattive opere di massificazione. (Preciso che neppure adesso sono cattolico, non accetto che si confonda il cristianesimo non cattolico col mondo che molti cattolici definiscono cristiano per dire invece ancora una volta cattolico: uno scherzo questo che impedisce le dichiarazioni pubbliche di diversità religiosa.)
MAURO PASTORE
Ho scritto: ‘che faceva indignate Porfirio’, intendevo scrivere: che faceva indignare Porfirio.
I libri di Porfirio, quando li esibivo, spesso indignavano auguste o austere signore… per opposti motivi!
Porfirio fu anticristiano coi falsi cristiani che aveva conosciuto, ricercatore storico di grande valore… Aveva scovato l’identità del vero Gesù di Nazareth, poi aveva indicato che da tale Gesù dipendeva una effettiva realtà umana e religiosa del suo tempo… Peccato che sia ancora definito un oppositore del cristianesimo e che nella pratica sia davvero arduo capire i veri fatti che lo riguardarono. Il contrasto tra i paganesimi dell’Impero romano ed il Cristianesimo diffusosi anche nello stesso Impero fu evento colossale, ai giorni nostri vi sono eventi religiosi forse parimenti colossali, all’interno delle stesse religioni.
MAURO PASTORE
Avevo scritto: “Il cattolicesimo artuale”, intendevo: il cattolicesimo attuale. (Al giorno d’oggi prevale in molti cattivi religiosi l’idea che fare religione significhi creare come creano gli artisti…)
MAURO PASTORE
Premetto che sono qusi digiuno di filosofia o di teologia, tuttavia sono d’accordo con quanto rilevato dal Prof. Galimberti: la dimensione del Sacro nella società occidentale moderna è quasi del tutto scomparsa. Non saprei, però, quanto addebitare al Cristianesimo la responsabilità dell’estinzione; se è vero che questo non ha saputo conservare il “cuore” della sua tradizione religiosa, bisogna altresì considerare la speciale mentalità dei popoli occidentali tra i quali esso si è diffuso.
Per ragioni temperamentali e storiche l’uomo occidentale è giunto a pensarsi autosufficiente e separato dal “contesto” che gli permette l’esistenza, tanto ontologicamente, arrivando a negare qualsiasi dipendenza spirituale da un Ente superiore, quanto materialmente, con il corrispondente atteggiamento di puro sfruttamento dell’ambiente naturale. Aver rimosso la consapevolezza della dipendenza del visibile dall’invisibile, della sostanza dall’essenza, corrisponde precisamente alla totale perdita del Sacro; ma d’altra parte non basta affermare la propria fede in un Essere superiore o adeguarsi superficialmente a determinati precetti per conservare integralmente la nozione di sacralità e per evitare la loro trasformazione in semplici convenzioni. Di fatto, partecipare alla sfera del Sacro significa possedere un atteggiamento interiore che informi qualsiasi attività che si stia compiendo, che riporti al Divino l’intera esistenza umana e cosmica in una prospettiva soprannaturale (ecco perciò che chi volesse, con Spinoza, affermare la sacralità della natura, indipendente e sovrana, non si troverebbe perciò più vicino all’essenza del Sacro). Certo si potrà discutere in che misura la consuetudine Cattolica con il dominio temporale o un’attenzione eccessiva verso ciò che è esclusivamente umano (deriva, quest’ultima, preponderante nella Chiesa della Riforma) abbiano plasmato la mentalità occidentale moderna o quanto piuttosto questa, proveniendo da molto lontano, abbia influito sulla realtà storica della Chiesa e sulla predisposizione dei suoi fedeli ad una comprensione via via sempre più parziale del suo messaggio.
Resta il fatto che tra il Sacro e una (qualsiasi) religione permane lo stesso iato che esiste tra il concetto di giustizia e le leggi che un popolo si dà per interpretarlo e renderlo fruibile: entrambi non sono riducibili ad un’ortoprassi ma necessitano di un quadro di riferimento – anche non perfetto – per non scomparire, travolti dall’oblio, dalle convenienze e dalle opinioni individuali di chi non ha la capacità di contemplarne i riflessi. In questo senso le diverse tradizioni religiose non hanno (in linea di principio) lo scopo ultimo di perpetuare una gestione del potere fine a se stessa, ma piuttosto di rendere possibile l’ottenimento, nella società che rappresentano, di certi frutti immateriali per mezzo della conservazione e diffusione di principi più o meno espressamente rivelati nella dottrina; e per far questo giungono alla costruzione di un impianto sociale che reputano il più adatto a raggiungere lo scopo.
Insomma, “colpa” della Chiesa, forse, è dare troppo risalto alla sfera etica senza insistere tenacemente sui reali motivi per cui una religione è competente ad occuparsene (ragioni che sono poi quelle che giustificano la stessa esistenza di una Chiesa o di un qualsiasi organismo tradizionale strutturato), evitando inoltre l’approfondimento su di un problema che non è affatto morale: non si tratta di aver diritto ad un premio se saremo “buoni”. Piuttosto, se sapremo aprirci al Sacro, se sapremo raggiungere un più elevato livello di consapevolezza delle “cose visibili e invisibili”, il nostro comportamento si conformerà automaticamente ad una legge “universale”, e contemporaneamente saremo nelle condizioni di cogliere i frutti prospettati. D’altro canto, ascrivo piuttosto alla mentalità occidentale – e alla sua evidente predisposizione per il concreto e per quanto vi è di contingente – la riduzione della Divinità al solo rapporto con l’uomo, con la conseguenza di far apparire Quello in funzione di questo e limitarne così l’influenza ai soli aspetti umani immediatamente esperibili. La peculiare caratteristica di essere una religione in cui gli aspetti umani e divini si intrecciano tanto profondamente, rende infatti il Cristianesimo particolarmente adatto alla mentalità dei popoli che ne hanno decretato il successo, ad un tempo effetto delle loro predisposizioni e concausa degli sviluppi culturali e sociali che lo stanno condannando al declino.
Saluti,
Silvio
Saluto il professore Galimberti con timore reverenziale e, nonostante questo, mi accingo a dare una mia opinione riguardo alla religione. Spesso sentiamo dire: “non c’è più religione”. Sento che questa frase ha un senso profondo. Spesso viene usata per alludere alla perdita di mordente della religione cattolica ma io credo che la perdita è più rintracciabile nell’assenza di religiosità in senso più ampio del termine. È come se l’essere umano avesse perso il suo rapporto con i miti e quindi con gli archetipi, usando il linguaggio di Jung. Ha perso così il senso del fare, delle cose e della vita stessa. L’essere umano è diventato una macchina produttrice di ricchezza materiale, notorietà e vuoto. Perché, mi viene da chiedermi, rincorriamo tanto fare, tanto guadagno, tanta ricchezza (soldi)? A quale scopo? Alla fine tutti lasceremo questa vita per andare dove? La religione Cattolica, insieme ad altre religioni, forse davano una ragione al nostro fare. Queste ci promettevano il paradiso. Ora non c’è più un Dio per cui fare tutto e non riusciamo a trovare un Dio interiore che dia un senso a tutto quello che il mondo è e che l’essere umano fa. Questo produce alienazione e depressione con attacchi di panico e tante altre patologia di cui il mondo è pieno. Oggi abbiamo più paura della vita che della morte.
Svincolare il concetto della sacralità della figura divina dalla componente etica è pressoché impossibile, legati come siamo ai testi sacri del cristianesimo (ma questo riguarda, pur se in diversa misura, anche le altre due grandi religioni monoteistiche, prese le distanze dalle componenti scaturite da “deviazioni” mistiche/ gnostiche prelapsariane/ sufitiche che ognuna di esse contiene).
Il messaggio divino trova, infatti, il suo senso concreto, per il credente , nel potere salvifico della fede che sola può correggere l’inadeguatezza umana sia nel comprendere la vera essenza del sacro che nel conformarsi appieno alla volontà superiore che lavora -su un piano di logica umana- su canoni e valori meritocratici pur lasciando al giudizio l’imponderabilità divina. Essi sono connessi al grado di perfezione ( fede/obbedienza e sforzo/morale secondo il dettato supremo) mai disgiunto dall’idea di avvicinamento sul piano della distanza che separa dal divino. I santi cattolici hanno ottenuto una sacralità in quanto guadagnata in vita sul piano morale. Il superamento del legame può avvenire solamente staccando il pensiero escatologico -ma l’intervento divino può manifestarsi, come dice la Bibbia, in qualsiasi momento tuttavia sempre scaturito e giustificato dal valore etico del momento contingente ed in ragione di esso- dal potere connaturato al sacro. Solo una fede avulsa dal contesto di sacertà = controllo assoluto contrapposto a umanità=soggetta al controllo, può concepire una condizione di sacro come indifferente da implicazioni etiche, ma per questo dobbiamo riferirci a differente impostazione ontologica sia umana che divina
Siete analfabeti, frettolosi, non rileggete quello che scrivete. E’ difficile capire cosa volete esprimere, in alcuni casi è proprio impossibile.
Il sacro. Sacra è la vita(tutta,anche le zanzare che uccidiamo col ddt), il coraggio, la libertà individuale.
Và ripresa confidenza con la parola,con il linguaggio, altrimenti è molto difficile sia l’ascolto sia la comprensione.
Manuali di grammatica, leggere lentamente, dizionari per la comprensione del significato delle parole, sono utili a riguardo.
Riflessione chiede silenzio, solitudine. Cura dì sè.
Pessimismo positivo. Ciao.
La sacralità della vita non esclude in se stessa la lotta per la vita.
MAURO PASTORE
Buongiorno.
Da cristiano, la ringrazio per quanto dice relativamente al cristianesimo che ha perso la dimensione del sacro.
Se si intende la chiesa, come sembrava essere diventata, un’agenzia etica, quello che dice è certamente vero.
Di per se, però penso che il vangelo porti una dimensione fortissima del sacro.
Ad esempio il pane eucaristico è pane, ma anche corpo di Cristo, oppure quando Gesù dice che ogni cosa fatta ad uno dei fratelli più piccoli è fatta a lui, dice che il fratello è più che il solo fratello: è Cristo stesso. Lo stesso male, non è solo male se è vero, come dice S.Paolo ( credo Rm 8, 28 ) che tutto ( dunque anche il male ) concorre al bene di coloro che amano Dio. Nemmeno il male è solo male.
I cristiani hanno poi portato il loro contributo, ad esempio, con i dogmi, dove si dice che la vergine, non è solo vergine, ma è anche madre, l’uno, non è solo uno, ma è anche tre, L’uomo Gesù, non è solo uomo, ma è anche Dio ( vive l’umanità da Dio ).
L’eucaristia è simbolo, nel senso che è unione di due mondi. Non è solo quello che sensibilmente vedo, ma anche presenza viva e vivificante ( sacramento ). Le icone, non sono solo legno e colori, ma sono ‘porte regali’ che aprono al divino. La liturgia è racconto dell’eschatòn, non come visione dei tempi ultimi futuri, ma come possibile pienezza del presente, e dunque non è solo un vuoto rito.
Forse siamo noi cristiani che non siamo testimoni credibili, ma di per se mi pare che il cristianesimo abbia una dimensione sacrale molto forte, fino a sacralizzare ogni gesto della vita quotidiana come ad esempio il mangiare insieme in famiglia come sacramento della comunione, ovvero la presenza del terzo ( Dio ) che rende possibile la vita in pienezza.
Tutto questo, oltretutto, vissuto e tenuto insieme dall’amore, unica realtà nella quale possiamo realmente vivere come persone libere. Davvero credo che solo l’amore di un Dio così possa essere credibile e degno, quanto meno, di essere, se non accolto, almeno ascoltato….
Cordiali saluti
Andrea Poli
Sacro in divenire, in alternativa sacralità fissa ed immobile, destinata ad esser travolta. Nel primo caso preminenza della storia critica su quella monumentale, come diceva Nietzsche quando non era tanto polemico. Sacro che banalizza il mistero, ovvero falso sacro; oppure sacro che lo fa comprendere, i cui contenuti tornano uguali, cioè vivi, non gli stessi morti! Idealità ed immagini autentiche, spontanee, non obliate o represse per superficiale brama di obbedienza alle convenzioni viete. La vita pretende l’autenticità e neppure rifugge dalla ripetizione dell’uguale. Albe e tramonti, come riti nella natura; i riti dell’umanità, come il succedersi naturale delle stagioni.
MAURO PASTORE
Se Dio è al di là del bene e del male, allora anche l’uomo che vuole vivere in Dio deve imparare ad andare al di là del bene e del male … che non vuol dire rifiutare le idee di bene e di male, confonderne i significati o creare una “oggettività terza”.
Andare al di là significa, piuttosto, trascinare il significato di bene e di male oltre la contrapposizione dualistica per sfociare in una comprensione dove i concetti di bene e di male trovano la loro riconciliazione.
Nessun dualismo può essere trasceso attraverso il rifiuto o, come si dice in questo caso, la rinuncia … perché rinunciare o rifiutare sono essi stessi atti che generano dualismo.
Perché il dualismo non è una realtà esistente in natura … ma il frutto dell’orientamento umano che pensa la natura …. oltre a viverla e …. a volte anche al posto di viverla.
Tutte queste parole … potete credermi? sono proprio mie, perché sono il frutto degli sforzi che ho fatto per sopravvivere ad una vita che non riuscivo (e non riesco ancora) a capire … una vita che non so spiegarmi se non tuffandomi nel mare che riversa queste onde.
Eppure … quante volte ho scoperto le “mie” parole nei romanzi, nei saggi, nelle conferenze altrui. Io non ho copiato le idee degli altri perché la mia ignoranza me lo ha impedito, ma ho trovato quelle stesse idee perché la mia sofferenza me le ha fatte scoprire.
La proprietà intellettuale, ahimè, è proprio il tipo di proprietà più odiosa e parassitaria (quando non è addirittura nociva) che esista. Certo, i nostri corpi abituati al piacere o, al massimo, alla sua assenza, non sono più capaci di zappare la terra o trasportare pesi. Così siamo davvero tanti, proprio troppi, a voler vivere di parole … e le parole hanno perso la loro vita.
Non sono sicura che siano proprio i cristiani i maggiori rappresentanti di questo fenomeno …. e il sistema giuridico italiano? Come lo vogliamo … giudicare? Crediamo davvero che sia in contatto con la realtà degli umani più di quanto lo sia con le proprie parole? Quanti sono stati, a tutt’oggi, gli imprenditori che si sono suicidati, non perché avevano svolto male il loro lavoro ma solo perché le leggi cui erano sottoposti li avevano progressivamente derubati di ogni possibilità di lavorare?
Rinunciare a trasmettere la trascendenza divina della realtà, equivale a condannare l’umano a vivere peggio degli animali … i quali, almeno, non hanno una cosa che si chiama magistratura e si fanno giustizia da soli.
Ma, rispondendo ad Andrea Poli, che senso ha parlare di cristiani che non sono testimoni credibili di un cristianesimo che è considerato sacro proprio perché presente nella vita quotidiana e non solo nei libri di teologia? O si crede di essere cristiani perché si crede in quello che si fa … oppure no. E se si crede in quello che si fa allora la credibilità è garantita. Oppure decidiamo che l’elemento discriminante è solo il battesimo (quindi non più le opere come per i cattolici, né la fede come per i protestanti) e allora … davvero anche i sassi possono definirsi cristiani.
Il vizio capitale di ogni religione? Pretendere il governo del sentimento religioso.
Il governo del sentimento religioso porta inevitabilmente con sé la pretesa di delimitare ciò che per sua natura non è delimitabile, di ridurre il mistero dell’interiorità umana alla semplificazione della iconografia del rito, di introdurre un ordine finito a un sentimento la cui intrinseca costituzione è infinita, finendo per impoverirne la ricchezza dei motivi e delle sfumature e di mortificarne lo spirito vitale. Ciò vale per ogni religione, presso ogni tradizione di civiltà.
Nel caso della tradizione cristiana, la consapevolezza della ricchezza creativa e libera del sentimento religioso si trova massimamente espressa nella raccomandazione, alla quale Cristo aveva richiamato i suoi discepoli, di “dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”.
Ma qualcuno tradusse questo straordinario concetto di libertà e autonomia dell’interiorità, della spiritualità e del sentimento religioso, alieno da ogni forma di pretesa di governance, nell’idea che si dovesse opporre a Cesare, al potere politico, un altro potere, quello che poteva derivare non tanto dal governo politico degli uomini e delle loro relazioni, quanto da quello esercitato sullo spirito e le coscienze.
Nel mondo antico il potere politico si è sempre confuso con quello religioso, tanto che sia i faraoni egizi che gli imperatori romani identificavano se stessi con la divinità. Ma la predicazione cristiana introduce, per la prima volta in Occidente, un concetto di trascendenza così chiaro e civilmente evoluto che avrebbe potuto generare l’idea, modernamente democratica, di un nuovo e più consapevole principio di umiltà nel concepire, organizzare e giudicare il potere politico.
Questa opportunità offerta dalla predicazione cristiana viene traslata e mistificata in qualcosa che, pur essendo contro quella predicazione, è paradossalmente invocata in nome di essa. In questa operazione di capovolgimento di sensi e significati c’è qualcosa che urta frontalmente con la più semplice delle evidenze logiche.
La pratica delle chiese cristiane, per molti secoli, ha dunque operato un rovesciamento dei principi della predicazione evangelica originaria, perché essa, traducendo lo spontaneismo e l’individualismo del sentimento religioso nella ritualità organizzata, ha preteso di assicurare il governo del sentimento religioso.
E là dove v’è organizzazione e governo, là si genera un potere, una passione per un potere che riprende vigore e che, quale che sia la forma di cui si riveste, non dismette mai la sua natura politica. Il cosiddetto potere religioso si origina dalla necessità di assicurare una ritualità, tendente a governare il rapporto tra il credente e Dio.
Sennonché, esso si tramuta inevitabilmente nel governo del rapporto tra uomo e uomo, produce gerarchie, gradi di autorevolezza, interpreti delle scritture, custodi di una verità che, in quanto proveniente da Dio, è assoluta, non suscettibile di discussione, pretendendo così per sè la trascendenza dal giudizio umano, sia esso pubblico e privato. Un simile governo reclama per sè una sovranità assoluta, per la quale non solo si sottrae al confronto con le forme che il potere politico storicamente ha assunto, ma che anche dichiara che esso non è suscettibile di alcuna investigazione, condotta con il metodo della comune ragione.
Eppure, dal riconoscimento del valore –persona presente in ogni individuo il passo potrebbe essere assai breve nella possibilità della fondazione di una moralità che risolve e concilia la particolarità dell’individuo con l’universalità della comunità. Proprio perché ogni individuo è persona, nel riconoscimento di questa egli si riconosce come comunità-umanità. Gli individui sono tutti uguali in quanto essi sono persona, e quindi i diritti e i doveri che valgono per un individuo devono valere per tutti gli altri. Di qui l’etica del rispetto per il diritto alla vita, all’uguaglianza e alla giustizia.
E’ stato in ragione della pretesa di governo del sentimento religioso che la chiesa, storicamente, come istituzione organizzata ha prodotto l’esercizio di un potere privato sulla spiritualità che non poteva, in quanto potere, non manifestarsi anche nella sua forma politica. Il potere politico è per sua natura pubblicistico, e questa sua appropriazione privatistica si doveva inevitabilmente esprimere nella forma di un assolutismo politico-spirituale profondamente non democratico.
A ben guardare, questo carattere, inevitabilmente autoritario, si è fondato sulla riduzione e annichilimento della nozione cristiana di persona, come intrinsecamente congiunta all’umanità universale, in quella del riconoscimento della persona, ma solo se questa si disperde e identifica nella comunità degli aderenti alla ritualità organizzata del governo del sentimento religioso.
Sarebbe unilaterale ed ingiusto un giudizio che volesse dichiarare la riduzione della tradizione spirituale dell’Occidente alla sola forma del governo del sentimento religioso. Ma di essa è parte integrante la tendenza che, riducendo la persona alla comunità, ha contribuito al costituirsi di quelle basi morali e concettuali, che hanno consentito nella modernità la distruzione del valore dell’individuo annichilendolo in quella di popolo o collettività. E’ così che, malauguratamente, è divenuto possibile che il messaggio cristiano non venisse inteso nel senso di quella grande e straordinaria opportunità di introduzione di un diritto universale e ‘aetnico’, quanto, piuttosto, nel senso di una interpretazione e generalizzazione del carattere etnico insito nel diritto mosaico. La teologia cristiana, se da un lato raccoglieva il messaggio profondamente anti etnico della predicazione evangelica, faceva proprio l’assunto della universalità della persona e della sua umanizzazione aldilà di ogni appartenenza razziale, linguistica e culturale, dall’altro finiva, in maniera più o meno inconsapevole, per etnicizzarlo nella forma di una nuova limitazione e particolarizzazione nel concetto di una umanità rinchiusa nei limiti del popolo-chiesa, al di fuori del quale nessun altra forma di umanità e di esistenza umana poteva divenire concepibile. Questa è stata la concreta pratica dell’avventura storica del cristianesimo, nonostante che questa riduzione dell’universalità della predicazione originaria al particolarismo teologico e politico, sia stata variamente denunciata nel tempo sia all’esterno che all’interno della stessa chiesa. Le aspre dispute teologiche e le lotte tra le varie chiese costituitesi nel III e IV sec. l’espansionismo e l’imperialismo feudali delle crociate, le feroci guerre di religione del XV e XVI sec, la negazione del diritto alla libertà della persona, l’intolleranza religiosa contro il sorgere del pensiero scientifico moderni, sono tutte conseguenze della tragedia di un fraintendimento del carattere universalistico del diritto evangelico cristiano.
Non è un vizio della religione, nel senso che potrebbe appartenervi, ma non ne è connaturata, la pretesa sbagliata dal sentimento religioso.
MAURO PASTORE
Se possibile (e solo in tale eventualità), mi piace riprendere un punto di quanto scrive Donato de Renzis che non condivido (un punto solo, per fortuna).
Gli individui non sono tutti uguali in quanto essi sono persona (che orrore! almeno avesse scritto persone, al plurale, sarebbe stato un po’ meno drammatico, non trova?), ma sicuramente tutti gli individui hanno il valore di poter essere persone.
Il concetto di uguaglianza degli umani fra loro (con l’aberrante corollario che debbano, e sottolineo debbano, avere tutti gli stessi diritti e stessi doveri) è l’invenzione più crudele e ingiusta di cui gli umani sono stati capaci fino ad oggi.
Cristo non ha mai predicato l’uguaglianza degli uomini e meno che mai il livellamento di diritti e doveri. In modi sempre diversi, proprio perché diverse erano le persone alle quali parlava, ha predicato sempre un solo ed unico messaggio (e questo è l’unico motivo accettabile per parlare di universalismo): accoglietemi, perché questo è il modo per dare piena completezza (ossia, per trascendere) ad ogni diritto e ad ogni dovere che le piccole menti umane inventano ad ogni respiro (gli Ebrei … alla fine, ne avevano più di seicento … di comandamenti … ma ci rendiamo conto?).
E accogliere Cristo, che ci piaccia o no, significa accogliere l’amore, quello che ci ama e ci fa amare … allontanandoci dalla predestinazione genetica cui sono sottoposti gli animali che, al massimo, conoscono lo spirito d’appartenenza e l’affetto, ma non l’amore.
Oggi, invece, noi stiamo tornando ad essere farisei, affidandoci alle mani dei giudici, degli avvocati, degli psicologi … tutti tentativi purtroppo ben riusciti di rifiutare quell’essere persone che Cristo predicava. E quel che è peggio è che, almeno, gli Ebrei sapevano di trasgredire e di non avere attenuanti, noi, invece, trasgrediamo (perché, ovviamente, non si può non farlo quando l’impianto legislativo supera un certo volume e diventa vessatorio) e poi andiamo in chiesa a confessarci o a fare volontariato per sentirci tanto buoni … e qui ammiro e condivido pienamente quanto Donato de Renzis scrive a proposito della frase “dare a Cesare ciò che è di Cesare …”
Tornando alla parola “persona”, questa non indica meramente il corpo umano, bensì colui che da voce. Se non sbaglio, la tradizione cristiana non vuole riferirsi alla maschera come ad una finzione, bensì come a colui che da voce e diffonde la Parola (cioè il Logos, il Verbo, Dio): quando l’umano riconosce il suo Dio (qualunque esso sia) e, soprattutto, riconosce il suo essere il suo Dio (proprio come Cristo che, guarda un po’, di tanto in tanto e non di rado … si fermava a pregare Dio …. interessante, vero?) allora l’umano diventa persona.
Una persona che non rifiuta i diritti e i doveri, ma li incarna alla luce divina dell’intelligenza … a volte soccombendo, a volte liberando anche gli altri, oltre se stesso.
Non è l’autoritarismo il vero nemico (non dimentichiamo che quando Pietro, dopo la morte di Gesù, decide di tornare a pescare, sono gli altri che lo seguono … spontaneamente, non è lui che li obbliga) e nemmeno le gerarchie o i riti.
Il vero nemico è solo la stupidità … anche la mia.
Egregio e stimatissimo Prof. Galimberti,
vorrei, se non ne fosse già a conoscenza, invitarla a studiare il lavoro del Prof. Anatoly T. Fomenko a riguardo della cronologia e della storia. Perchè se sta in piedi quanto dice allora molte delle cose che lei va affermando devono essere riviste e con esse anche il pensiero occidentale.
Cordialmente la saluto.
Jing Hoo
Non siete più sotto la Legge, ma sotto la Grazia (S. Paolo).
Dio Padre ha mandato Suo Figlio, non “al di là”, ma “nella” storia.
Il Cristianesimo porta questa novità. Allora, a “Dio è al di là del vero e del falso, così come è al di là del bene e del male” devo rispondere: Dio è al di qua – se pensiamo a un valico tra cielo e terra – più di noi stessi in quanto ha sofferto, e soffre! E’ Egli stesso origine del bene; e reinterpretando, vale “al di là del male” perchè in Lui non può esserci traccia di male. Come una luce splendente, che avesse una falla…
Siamo “sotto la Grazia”, perchè il libero sacrificio di Gesù ha spiegato, e oltrepassato, la Legge: essa è servita ad annunciarLo. Da quando è venuto, ci ha preso con sè.
E desidera il nostro bene. Anche di chi ora è distante da quanto ho scritto (e chi dice “non credo in Dio” sappia che non importa… perchè “Dio crede in te”. Il Dio vivo e padre):
Saluti
ps. sul cielo vuoto – non ho letto il libro – ma pensiamo a una via senza meta, di qualunque genere. Che folle deriva.
La tesi che Dio si sia tratto fuori dalla storia è soggettiva ed ambivalente, non è e non potrebbe essere una descrizione dei rapporti tra Dio e il mondo. In che senso Dio non avrebbe più importanza? E non sarebbe forse senza importanza, ad avere, Dio, maggior influenza sul divenire del mondo? O viceversa? E se l’infinità di Dio, sempre nuova negli effetti, ed il mondo, sarebbe ora indifferente al mondo, non sarebbe forse tale indifferenza un valore influente nella storia? O il contrario? E di quale storia si tratterebbe? Infinità divina e mondo sterminato consentono una storia universale, ed una del genere umano, però la prima per enigmi, la seconda, degli uomini, per incognite. La storia dell’Occidente è indeterminata; ma in Occidente v’è un mondo per il quale Dio è diventato indifferenza proprio nel senso di: estraneità, inutilità… Eppure il teologo domanderebbe: ripudio divino? Ed il ripudio, in altro senso, sarebbe utile… e influente pure. E l’atteggiamento al ripudio? Il Dio pensato è il pensiero del Dio creduto; v’è un mondo indifferente a Dio, in Occidente, un mondo che si proclama cristiano senza esserlo e che funziona moralisticamente, si basa su giudizi privi di adeguate premesse. Non c’è dubbio. Ma l’ufficialità di tanto Cristianesimo è parte di una parte, non totalità; l’Occidente è cosa vastissima e le culture generalmente dominanti si riferiscono a una storia parziale, brevissima ed anche ridottissima. L’inutilità di Dio? È sempre concetto ambivalente; e soprattutto ha valore soggettivo. Dipende cioè da premesse di parte, perché in Occidente non v’è un solo mondo. La Provvidenza è per il credente saggio un intervento inesplicabile, intuibile oscuramente ed interpretato attraverso la fede. L’immensa cronaca del sacro quale chiusura e della fine delle relative barriere con il conseguente inizio di un’era dèdita allo sfruttamento tecnico, sarebbe da precisare con opportuni riferimenti: mitograficamente, si potrebbe scrivere, si può scrivere, dell’irrompere di un nuovo misticismo, chiaramente improntato o vòlto al culto della potenza sempre nuova e terribile della dèa Tecne: infatti se si racconta di Dio e del mondo, il rapporto all’eternità, a Dio, non si può concepire quale causa. La mitologia, quale studio della natura misteriosa in rapporto all’anima, tradurrebbe questa minima mitografia in un bel racconto-metafora. Di fatto il neopaganesimo europeo registra consapevolmente questo cambiamento, questa novità. La psicologia si concentrerebbe sulla mente e la mentalità, ma se autentica psicologia non assumerebbe gli errori per giudicare mitografia e mitologia, non supporrebbe di aver posseduto una chiave superiore di interpretazione e conoscenza, lo confermerebbero ciò i cosmologi onesti. Quale riflesso divino di Dio, Tecne, potenza misteriosa nella natura, non sarebbe motivo di mutamenti significativi nel corso delle vicende dei monoteismi, che d’altronde sono di solito meno praticati in Occidente di quanto la cultura ufficiale non dica, anche se l’ateismo è più diffuso del politeismo, fosse questo anche taciuto o non dichiarato. La vera condizione religiosa del cattolicesimo ufficiale è una compromissione con l’ateismo in un già presente e crescent, confuso e bellicoso sincretismo col politeismo. Domina la religiosità di una “chiesa” utile come una antenna televisiva o una telefonata multipla, coi preti e fedeli dichiaratamente fuori posto: il clero esorbita dal proprio ruolo, improvvisandosi esperto di storia, filosofia, lettere, scienze, ragionerie varie e vari tecnicismi, ma sbagliando proprio nel considerare riti, dottrine, tradizioni. In tal senso la riduzione ad “agenzia etica” di cui dice il prof. Galimberti è un dato di fatto appartenente a tal mondo, di sincretismi, compromessi autodistruttivi, ufficialità mostruosamente vuote, di intromissioni ed intrusi. Il sincretismo che confonde umanità e divinità, mondo e Dio, che chiede al prete una tecnica per obliare il senso della mortalità e confondere giustizia ed arbitrio e confondere anche visione e fantasia, che promette al fedele il potere dato dalla politica e dall’eroismo proprio nell’offendere entrambi… Questo è anche il mondo affascinato ed abbandonato dalle tecniche moderne, terrorizzato da quelle antiche, che bestemmiava le grandi lenti di vetro, quelle costruite da Archimede per la guerra, ma che era più ingenuo di lui e senza magnanimità e capacità. Affascinato ed abbandonato, tal mondo, per non aver saputo capire veramente gli antichi scopi, i nuovi strumenti, perché smisuratamente ambizioso senza sapere la misura necessaria alla vera tecnica; ed anche, sempre di più, restato orfano dei veri miti, che non sono idee dipendenti da concetti ma metafore; e tutto ciò sta accadendo più nel cattolicesimo che in altri cristianesimi, è una parte, ma immensa, di una parte.
MAURO PASTORE
Segnalo ai lettori nel mio testo una parola mancante dell’ultima lettera: crescent, sta in realtà per: crescente.
MAURO PASTORE
Professore,che confusione (stato etico kierkegaardiano,sede morale):Kierkegaard aveva davanti a sè l’etica hegeliana, e l’ opposizione del “filosofo” danese,schiavo di un certo “luteranesimo” ed anche “pietismo”( sono dati storici che ogni suo lettore conosce bene)era rivolta contro di essa. L’incommensurabilità tra sapere umano e divino (anche nel senso barthiano) non esclude che il sapere umano,nel suo ambito,possa avere una fondazione che valga in sè ,senza costringere Dio.Se Dio è al di là del VERO (verità) e del falso,del BENE e del male,non è DIO, è uno scimmiottatura nietzscheana trasportata su questo terreno.Baget Bozzo non riusciva a capire che il rapporto Dio-mondo (e con quel Dio dell’ “OCCIDENTE” lo conferma complemento di specificazione oggettiva,semplice analisi logica) è problema METAFISICO,senza: “divenire”-nè “lentamente”,nè tanto meno “solo”. E la morale (ahi ancora “etica”) è stata sempre dai veri filosofi fondata su di essa (metafisica),DOPO la schiavitù (secondo il mio modesto parere: scimmiettatura) nietzcheana , avanti con quella heideggeriana,del “sacro” (origini neolitiche,non greco-giudaico mediterranee,o indoeuropee)con la conclusiva “rinuncia”.
Un racconto anche se ripetuto miliardi di volte e per migliaia di anni rimarrà per sempre un racconto.
Non diventerà mai vita vissuta.
E i personaggi di un racconto non diventeranno mai persone.
La facoltà che più ci distingue tra gli altri animali è l’immaginazione.
C’è un’enorme differenza tra i sentimenti immaginari e immaginati per dei personaggi inesistenti o morti di un racconto e i veri sentimenti che proviamo per le persone care veramente esistenti e vissute.
Solamente chi esiste può deluderci.
La vita è maestra di vita.
Preferisco credere nella vita e nei viventi piuttosto di credere in antichi racconti inventati dai morti.
La questione proposta riguarda il modo di rapportarsi a dio, e ci si pone l’interrogativo se la funzione della religione sia meramente quella di stabilire delle regole sulla base del volere divino. Tutti saranno d’accordo nel dire che cosi’ non e’, ovviamente, ma certo, non va bene, per carita’, che banalita’…
I credenti, che accettano come giuste e opportune le regole morali derivanti da dio ovviamente non si accontentano di questa visione, e la rifiutano, perche’ aspirano a qualcosa di piu’. Non accettano l’idea che la religione sia un semplice libretto di istruzioni da seguire. Non lo accettano in quanto vedrebbero sminuito il loro sforzo di fede, che si propone obbiettivi piu’ nobili, di piu’ ampio respiro, e cioe’ il dare un senso all’esistenza.
Anzi il loro fervore religioso e il loro attaccamento alle regole e’ tanto piu’ forte quanto piu’ percepiscono l’inafferrabilita’ del senso dell’esistenza, indagato tramite le regolette morali. Cioe’ reagiscono alla frustrazione di afferrare il nulla irrigidendosi nell’atto di afferrare. Quello che lei, professore, nelle adunate di san pietro descrive come bisogno di appartenenza, mi sembra un bisogno dettato da un’angoscia piu’ grande, da un pericolo piu’ grande.
Quindi fatto che dio venga oggi vissuto semplicemente come un dispensatore di regole e’ un fatto che suscita la disapprovazione e il sarcasmo di chiunque abbia sviluppato un certo snobismo verso il dogmatismo religioso, cioe’ gli illuministi, post illuministi, edonisti, sessantottini, ma non solo, anche dei credenti appunto.
Sia i credenti che i non credenti vivono la medesima insoddisfazione, il medesimo senso di vuoto. Solo che mentre i non credenti pensano di risolverlo crogiolandosi nel sarcasmo e aggirano il problema arridendolo dalla loro piccola altura, i credenti al contrario si armano di serieta’ e rinforzano il loro impegno, convinti che il raggiungimento della pace con dio sia il risultato della forza muscolare della loro volonta’ di credere, da allenare e potenziare.
Ma io penso che sia gli uni sia gli altri siano sulla stessa barca, una barca piena di buchi in cui entra acqua e dove i credenti provano affannosamente a tappare i buchi con le mani, mentre i non credenti negano l’esisistenza e la necessita’ di un barca, convinti che bisogna liberarsi delle false speranze e imparare a nuotare a braccio, ovvero guidati dalla ragione e dai principi. Come per esempio il principio che l’uomo vada trattato come un fine e non come un mezzo. E sfidano il mare.
Ma e’ possibile fare questa operazione?
Ho sentito in un suo discorso che lei ritiene possibile costruire una morale laica, vale a dire, ad esempio, una morale costruita a partire dal principio che l’uomo sia un fine e non un mezzo. E certamente e’ possibile impiantare un insieme di regole sviluppate con la ragione a partire da un principio, cosi’ come e’ possibile costruire la geometria euclidea a partire dai cinque postulati di euclide. Ma almeno un principio, alla base, che funga da postulato, bisogna porlo. E il principio che l’uomo e’ un fine e non un mezzo, come dice lei, kant lo ha preso in prestito dal cristianesimo, e non e’ vero o giusto in se’, ma e’ convenzionale. Proprio come e’ convenzionale il quinto postulato di euclide, tanto e’ vero che modificando questo postulato si sviluppa una geometria totalmente diversa, eppure egualmente razionale.
Quindi la domanda che faccio io e’ la seguente: esiste un principio di base che sia sintetizzabile da se’, avulso dal sacro sin dalle sue piu’ antiche origini? Possiamo considerare “laica” la piu’ vergine ed equa delle morali?
Secondo me no, e cio’ che fonda ogni morale, la sua radice, e’ un’intuizione irrazionale di cui cavalchiamo le fronde, vivendo e ragionando, ma di cui non siamo consapevoli, e ne conosciamo solo i teoremi. E chissa’ se sia veramente possibile arrivare a scoprirla.