Sarebbe interessante capire se Benedetto XVI non sia di fatto uno dei più intelligenti interpreti di quel relativismo culturale da lui a più riprese condannato come anticamera del nichilismo, che a sua volta apre le porte alla dissoluzione di tutti i valori.
Faccio questa rifl essione a partire dall’attenuazione delle colpe della Chiesa, ammesse dal suo predecessore Giovanni Paolo II in ordine al sacco di Costantinopoli, al massacro degli Ugonotti, all’Inquisizione, alle guerre di religione, al caso Galileo e più recentemente all’antisemitismo. Per attenuare queste colpe Benedetto XVI, nella sua visita in Polonia al campo di concentramento di Auschwitz del 25-28 maggio 2006, ha usato l’argomento cardine del relativismo che è la “pre-comprensione”. In quell’occasione, infatti, il papa ha detto:
Conviene guardarsi dalla pretesa di impancarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi e in altre circostanze. Occorre umile sincerità nel non negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti pre-comprensioni di allora.
E’ azzardato affermare come cosa certa la morte di una religione, quando non godono di ottima salute anche la scienza e la tecnica. Nei discorsi di oggi compare tuttavia spesso il concetto di etica, accanto a quello di umanesimo.
Ritengo che il relativismo anche in campo religioso come in quello antropologico-flosofico sia da considerarsi una risorsa e non un pericolo, credo che anche l’attuale pontefice e teologo ne sia consapevole, ma non riesca ad ammetterlo ufficialmente, perchè troppe sono le resistenze all’interno dello Stato del Vaticano.
A me pare che lo scopo ultimo e primario della tecnica, sia la negazione del relativismo attraverso il raggiungimento dell’immortalitá del corpo e della mente. Finché l’esistenza dell’uomo sará relativa, il relativismo sará il suo primo e naturale compagno di viaggio.
prego voler inoltrare il seguente intervento direttamente e personalmente al Sig.Umberto Galimberti; grazie in anticipo.
Egr.Sig.Umberto Galimberti, 27.1.2014
leggo sempre con molto interesse i suoi libri, ne condivido in larga misura quasi sempre la Sua posizione e colgo anzitutto l’ occasione per complimentarmi vivamente con Lei.
Adesso però ho il timore di essermi perso qualcosa, forse una sua recente uscita, nel tema della saggezza, per il quale sono rimasto ad un suo articolo su Repubblica del 29.2.2008 dal titolo “Quando essere vecchi significava saggezza”, sul cui merito, con mia sorpresa, mi trovo al momento in completo disaccordo. A mio parere si tratta di qualcosa oggi “superato”, per questo mi chiedo se Lei sia rientrato in questo tema in tempi recenti.
Io sono un senior, un “young old”, come gli americani di Stanford identificano il vecchio over 70, e sono ovviamente molto interessato al tema della saggezza. Certamente il declino è inevitabile, ma abbandonare questo patrimonio del sapere dei vecchi mi sembra una follia. Ci sono aspetti della vita e dello spirito che possono ben trovare ascolto anche nella società attuale dei giovani anche se abbarbicati al web; si tratta se vuole di “formazione” sui temi più intimi del nostro animo, per esempio dal saper riconoscere e perseguire con la nostra coscienza obiettivi di “armonia” e di bellezza” nei rapporti col mondo, cose indispensabili per una “felicità” che mi auguro trovi ancora spazio nelle generazioni future. Non mi dilungo oltre, è Lei lo scrittore, credo di averle sufficientemente esposto il mio pensiero; le sarei molto grato di un suo riscontro; un grazie di cuore.
Adriano Antonelli
E quindi il suo punto in tutto ciò quale sarebbe?
Ma grazie per avermi fatto leggere quell’articolo, che, inutile dirlo, spiega molto di più ed è molto più interessante di queste righe appena lette, che non rispondono minimamente all’articolo di G.
Comunque per quanto possa averne capito superficialmente, il punto del Galimberti non è propugnare “un nuovo modello di vecchio”, ma al contrario sta denunciando la situazione parecchio decadente del giorno d’oggi – cosa che è vista da chiunque non sia un perenne ottimista, o stupido, o non so che altro.
Anche io ho pensato già da tempo che vecchiaia non significa certo esser saggi, e non di certo perché voglio eleggere una nuova figura del “vecchio”, ma perché nel mondo d’oggi non hanno quasi niente da dire. Il discorso del G. è indirizzato su altre tematiche, parecchio interessanti; io volevo solo rimanere a livello generale, più che altro volendo dire che le persone d’altri tempi son veramente d’altri tempi, ed è inutile che contrappongono una visione del mondo e un modo di vivere che non c’entrano più. E non intendo che una cosa sia più o meno giusta, voglio solo constatare il fatto.
Ma volendo parlare ancora più generalmente, ma allo stesso tempo più esattamente, la saggezza non è acquisita con il semplice stare in vita, ma dire con lo star in vita “in un certo modo”. Penso sia evidente che G. è saggio, ovvero ha molto da dire. Mio nonno, più vecchio di lui, non ha niente da dire; e se gli verrà l’Alzheimer ne avrà anche meno. Lapalissiano? certo. Come a mio sguardo lo è tutto il discorso che malamente ho cercato di riassumere.
Come ultimo suggerimento, e quasi per converso, dirò questo: è giusto parlare dei “giovani d’oggi” generalizzando, come prevalentemente si fa, in negativo? ovviamente no. E perché allora rivendicare la posizione “positiva” all’altro polo dell’età?
Caro Professore,
Lei ci dice sesso, di essere più pagano-ellenico che giudaico-cristiano a differenza dell’attuale cultura occidentale.
Ora io però Le propongo un paradosso:
Chiunque di noi, costretto dalle circostanze a scegliere se salvare la vita di un bambino di 9 anni oppure a 2, 3, 100, vecchietti di 99 salverebbe il bambino, esattamente come un pagano.
Un cattolico vero al contrario salverebbe i vecchietti in quanto gli stessi potrebbero pentirsi delle loro azioni e guadagnare il paradiso dopo il salvataggio, il bimbo invece, se battezzato è già salvo in quanto difficilmente a 9 anni si pecca.
Pertanto la civiltà occidentale, dominata da Tecne e che vede i mezzi di comunicazione di massa sostituire progressivamente l’impatto formativo sulla cultura di massa (almeno a livello medio bassi) di altre associazioni (quelli passivi come la Televisione ad esempio hanno sostituito in questo ruolo istituzioni come la Chiesa, quelli interattivi come FB associazioni quali la Massoneria) non è forse ormai già neopagana?
E non è forse nel diverso rapporto tra energia e materia (E= mc2), e nel diverso rapporto tra relazione e uomo, sempre più intercambiabili ed andata e ritorno secondo la scienza, che i filosofi dovrebbero cercare le risposte superando il dualismo idealisti-materialisti più che insistere nel dualismo tra un inconsapevole basso neopaganesimo o una poco consapevole ma altrettanto bassa ubbidienza giudaico-cristiana delle masse?
Cordiali Saluti,
Giuseppe La Rosa (giuseppelarosaxxx@tiscali.it) Potenza
Non ricordavo queste parole dette da Ratzinger. Anzi non le conoscevo. Faccio presto a rispondere. Premettendo che non ce l’ho con Ratzinger ma con chi lo ha eletto a “feticcio”. I cosiddetti “conservatori” fermi al concilio di Trento (e che appunto hanno cancellato dalla mente i 3 papi, papa Borgia, l’inquisizione ecc….).
Quindi secondo Ratzinger non si puo’ giudicare i peccati passati. E quelli odierni? Quando Piergiorgio Welby (eroe laico!) chiedeva gli levassero il respiratore automatico che gli avevano messo contro la sua volonta’, coloro che si ispirano al non relativismo, a Ratzinger, dissero no. La croce non si abbandona. Mi risulta che poi Ratzinger, per molto meno (giudico l’oggi non l’ieri…) si sia dimesso. Vorrei terminare, caro Galimberti, con dirle che sono pessimista, depresso ecc. eppure credo ancora in Dio. Sono possibilista. La fede e’ un dono, non la da’ l’intelligenza, forse. Detto questo forse DIO E’ PIU’ GRANDE DI TUTTI I PECCATI, GLI SBAGLI, E I PENSIERI DEGLI UOMINI: ci attende al termine della storia (come disse Erri De Luca) e gia’ nella nostra vita. Senza Dio, mi creda, siamo perduti. La depressione e’ una malattia, indipendente dalla fede. Io ce l’ho lo stesso. Ma vorrei dare una speranza, la stessa che ho ricevuto pure leggendo i libri di Ratzinger (che “odiavo” tanto). CHI HA SPERANZA CHE DIO C’E’ LA DIA AGLI ALTRI. IO LA DO A VOI.
Relativismo si, relativismo no …… mi piace pensare che sia il “modo” di fare una cosa che ne determini la bontà, piuttosto che la cosa in sé, per cui, anche il relativismo, come tutti i sistemi di pensiero inventati dagli accademici più che dagli umani (ma gli accademici sono ancora umani?), può essere buono o cattivo a seconda di come viene usato.
Mentre scrivo mi vengono in mente due pensieri.
Il primo è che una logica sconsideratamente fondata sulla competizione, che non ha come obiettivo un miglioramento della vita, bensì soltanto quello di far emergere un individuo rispetto agli altri, è forse alla base dell’attuale sterilità del sapere accademico (basti pensare ai criteri usati per assegnare le cattedre universitarie. Ma perché, più semplicemente, non si tira a sorte?). Una sterilità che si può riscontrare in tutti i campi, non solo quello filosofico: le parole, ormai, si nutrono di altre parole e di altre parole ancora … cancellando, quasi, il ricordo dell’esperienza che le ha generate.
Il secondo pensiero si rivolge a Papa Francesco che si è permesso di far presente che essere un buon cristiano non significa dover figliare come conigli (neocatecumeni in ascolto … vi dice niente?). Si tratta, a mio parere, di una considerazione di semplice buon senso (non occorre davvero un corso di laurea per capire tale evidente verità), eppure … già il giorno dopo il Papa ha dovuto fare subito marcia indietro e ribadire solennemente che i figli sono benedizioni del Signore (altra verità di semplice buon senso) solo per dare lo zuccherino a tutti quelli che avevano già gridato allo scandalo (ma lo leggono il Vangelo, di tanto in tanto, tutti quei cristiani lì? Si sono scordati quello che il Cristo, proprio lui in carne ed ossa, dice a proposito di chi grida allo scandalo?).
E il terzo pensiero che ne deriva è che tutto ciò la dice lunga sul reale “potere” del Papa … che, appunto, ormai non è altro che un potere “reale” (materiale) e nient’altro. Perché nel mondo dominato dal potere dell’informazione e della finanza (l’una fonda il suo potere sull’altro), il potere temporale non è davvero più legato alla terra, ma all’etere. E con ciò ho concluso i miei sconsiderati commenti. Grazie.
No, non ho finito le mie incursioni “barbariche” su questo sito, perché leggendo il commento lasciato da Giuseppe La Rosa, non posso trattenermi dal dire che nessun cristiano vero (se cattolico o no, poco importa) penserebbe mai a fare una discriminazione calcolata come quelle (entrambe discutibili) da lui proposte: si cerca di salvare tutti quelli che è possibile salvare, senza ergersi a giudici di chi deve essere salvato e chi no.
Ciò perché il cristiano (vero o meno a questo punto è irrilevante) sa che non è questa vita a darci la possibilità di salvarci, e nemmeno chissà quante altre vite, ma soltanto l’amore di Dio … il quale si è già manifestato e, di conseguenza, ci ha già salvato.
L’unico “vero” messaggio cristiano è proprio questo: siamo già tutti salvi.
Vivere con amore la propria esistenza non serve per guadagnarsi il paradiso dopo la morte, ma semplicemente a vivere meglio su questo pianeta e se davvero penso che essere ladro, truffatore, manipolatore, criminale o assassino sia meglio …. il Dio cristiano non si oppone e certamente non punisce, non solo perché è un Dio di amore e non di giustizia, ma anche perché essendo un Dio intelligente sa che vivere disonestamente è già una punizione in sé.
Usare il concetto di salvezza come specchietto per le allodole e, quindi, fare leva sulle nostre paure anziché sui nostri talenti, è ciò che facevano gli Ebrei prima di Cristo: per cortesia non confondiamo le due religioni, anche perché gli Ebrei non apprezzerebbero.
Per quanto riguarda il concetto di giustizia … ricordiamoci che Dio non ne fa parte (sebbene l’unica vera giustizia sia proprio quella divina). Infatti, quando Dio crea, tutto è “cosa buona e giusta”. Sarà l’uomo, attraverso la “conoscenza del bene e del male” ad inventare proprio il concetto di INgiustizia. Motivo per il quale, grazie al cielo, l’uomo viene reso mortale … non per punirlo, attenzione, bensì per liberarlo e salvarlo, a lui e a tutto il resto del creato.
Almeno, questa è la storia come l’ho capita io.
Rileggendo quanto ho scritto, mi accorgo di aver guardato al “male” del mondo come al frutto di una scelta, mentre comunemente si pensa che per lo più il “male” sia subito come inevitabile per poter sopravvivere e, per conseguenza, se qualcosa è usato al fine di sopravvivere, indipendentemente da cosa sia, diventa automaticamente “buono”.
Ora, se tali pensieri vengono diffusi a ridosso di una epidemia di peste nera (come nel ‘300) quando nel giro di pochi anni la popolazione umana in Europa venne ridotta di un terzo, è comprensibile che li si consideri “buoni e giusti”. Ma se la stessa convinzione viene perpetuata anche oggi (che la popolazione umana globale è arrivata a contare 6 miliardi di individui), come può, lo stesso pensiero continuare ad essere “buono e giusto”?
Io, vigliaccamente spaventata dalla morte, farò di tutto per non morire …. ma non considererò mai questo mio istinto un bene supremo solo perché preserva la mia vita.
Mi sembra corretto discernere le regole della vita spiccia, per così dire, dalle regole della vita profonda (profondità che si realizza sia all’interno di me, sia all’esterno di me). Mi riferisco, in particolare, a quanto stiamo scoprendo in questi ultimi decenni grazie alle nanotecnologie e alle scoperte astrologiche. Quella cosa che chiamiamo vita è fatta, per così dire, di dimensioni infinitamente grandi, altre infinitamente piccole ed altre infinitamente “medie” e ciascuna di queste dimensioni, sempre per così dire, è soggetta alle sue leggi esistenziali del tutto esclusive (le leggi della fisica che governano quella vita “media” dove costruiamo palazzi, dighe, centrali nucleari, impianti eolici, ecc. ecc., sono totalmente inapplicabili alle nanotecnologie, per esempio). Eppure, allo stesso tempo, nessuna di queste dimensioni può esistere separata dalle altre (non è affascinante?). Ebbene, con la comprensione sarebbe opportuno fare lo stesso e saper individuare quando determinate regole si applicano all’infinitamente grande, quando all’infinitamente piccolo e quando all’infinitamente “medio”. In fondo, tutte le polemiche sul relativismo mi sembrano derivare dal fatto che non sappiamo individuare queste diverse dimensioni nelle nostre vite, sebbene tutte le religioni ne parlino nei loro testi sacri e ci dicano che dovremmo imparare a farlo. Allora la mia domanda è: perché continuare a schierarsi pro o contro quando in realtà sarebbe solo opportuno cercare di capire?
Io stessa, non esiterei un secondo ad iscrivermi ad una facoltà di filosofia se sapessi che, invece di impiegare tonnellate di carta per parlare di un solo concetto filosofico, si impiegassero tonnellate di carta per parlare di un concetto filosofico, della sua conferma/origine archeologica, delle sue applicazioni tecnico-ingegnieristiche, delle sue conseguenze economico-sociali e delle sue potenzialità creative ed escatologiche. Insomma, come si può essere filosofi se non si conosce neanche l’alfabeto della scienza, della tecnologia, dell’economia e via discorrendo? Quindi, se si critica la condanna del relativismo perché, ovviamente, intacca il potere consolidato … beh, questo, per coerenza, lo si deve fare nei confronti di qualsiasi potere consolidato … anche quello accademico, mi pare.
Professore io la amo Lei è una creatura straordinaria <3
Buonasera professore….la domanda che sto per farle è la stessa che mi faccio da diversi anni e alla quale nn ho saputo e nn so dare risposta. La domanda è : si può amare un uomo e ,contemporaneamente avere timore di essere solo sfiorata da lui? Come è possibile che dopo anni di matrimonio ,con una vita sessuale normale?all’improvviso non riesco a fare l’amore con lui? Mi aiuti a capire…..per favore
Relativismi intellettuali a parte, nella coesistenza di un papa emerito ancora in carica per questo con il nuovo papa che ha messo agli atti ufficiali della chiesa cattolica e nel mirino dei poteri giudiziari italiani e del resto del mondo la condizione di soggezione-assoggettamento dei laici agli ecclesiastici e quindi del fedele al prete confessore, in tale coesistenza dico, v’è una relatività oggettiva ed oggettivabile, nelle critiche e nelle cronache, sicuramente un evento epocale segnato dalla passività intellettuale ai tempi scanditi dai moti del sole ed alla alta suggestionabilità ai numeri arabi che segnano l’epoca cristiana secondo le spirali del sistema decimale (dagli Arabi giunto, appunto). Vero è senza dubbio che tal uso rispecchia altri reali accadimenti, ma resta abnorme la rispondenza alle scansioni di secoli e millenni, sicché si nota con chiarezza che le speranze della ufficialità cattolica sono una imitazione per niente monoteista delle emozioni per nulla monoteiste ricevute dai corsi degli astri in combinazione con i ritorni delle cifre decimali… Insomma ironicamente sto dicendo che non bastano due o tre oroscopi per reggere un sistema pseudireligioso di fatto diffidato dalle autorità di tutti i veri Stati e rifiutato da tutte le autentiche politiche. Allora due papi assieme e la relativa situazione che ne consegue sono una realtà non eminentemente intellettuale, sono cioè una condizione effettiva di non assolutezza, la quale rappresenta davvero il termine ultimo della storia religiosa del secondo millennio cattolico, iniziato (lo sapevate?) per la generosità di un dotto più islamico che cristiano e talvolta solo islamico (dico del papa dell’Anno Mille, se non erro detto Silvestro), virtualmente finito con la grazia ad Ali Agca, quelli detto dei “lupi grigi”, non senza postuma revisione della sentenza: i magistrati italiani infatti considerarono il papa polacco falso in alcune dichiarazioni loro rese in precedenza, così lui restò senza voler chiarire più niente, chiuso nel limbo giudiziario dei testimoni falsi oltre che non attendibili.
MAURO PASTORE
Il “papa emerito”, dicevo, cioè Ratzinger.
MAURO PASTORE
Ricordo che i magistrati italiani misero agli atti la non disposizione di papa Wojtyla a prender parte rispettando proprio ed altrui ruoli al processo contro Ali Agca, quello appunto dei “lupi grigi”. In tal senso, oltre alla non attendibilità dei discorsi forniti da Wojtyla, fu giudicata anche una non autenticità della sua presenza, di fatto per legge da considerarsi non intromissiva o ingannatoria ma resa volontariamente inopportuna dallo stesso che faceva presenza.
MAURO PASTORE
Buongiorno. La seguo spesso, ascolto con interesse quello che dice. Mi ha illuminato ed anche impressionato quanto ciò che ha detto sul popolo cinese ed indiano. Loro -sostiene- saranno i nostri veri “nemici”, perché abituati, in quanto cresciuti ed educati in quel modo, al sacrificio, alla tenacia. Concordo però questo mette in allarme me il mio subconscio, i miei antidepressivi, le mie sedute d’analisi. Eh si, mi cade tutto addosso. Non riesco a fare nulla perché sono bloccato, perché sono depresso, perché non go una sufficiente autostima, oppure perché comunque vada al momento posso contare sui pochi soldi rimasti sul conto corrente dei miei genitori? Ho 52 anni sono architetto, divorziato da 9 anni, con due figli Elisa di 13 ed Alessandro di 20 anni. Da quando ho 27 anni viaggio con psicofarmaci ed analisi, si ho lavorato prima con mio padre poi per conto di altre società: ho lavorato 20 anni. Però sono fermo da 9! Non posso più farcela. Sono esausto, le colline che ho davanti mi sembrano gli 8000 dell’HIMALAYA . Ripeto, la seguo sempre, ho letto alcuni suoi libri, MA quell’argomentare fra noi occidentali e loro i cinesi e gli indiani, maledizione è vero: se fossi nato lì sarei in queste condizioni? Forse non sarei all’università cinese ma nei campi a lavorare ma lo accetterei probabilmente. Perché sono così affascinato da lei, dai suoi colleghi, dalla psicologia e non dall’architettura? Perché pur di farcela non inizio a fare altro purché sia fare e non attendere chi e che cosa? Perché se devo fare qualcosa per mio padre la faccio e anche bene, invece se devo farla per me mi arrendo alla prima difficoltà? Credo non abbia più senso chiederselo do 25 anni, bisogna solo accettarlo ed accettare lui, un padre decisamente discutibile, ma è quello che avrebbe anche un cinese ed un indiano. Con sincera stima. Prof. Galimberti. Giuliano
Ho letto tutto quello che ho potuto di Ratzinger sul relativismo e sono arrivato a due conclusioni:
– Ratzinger è tutto fuorchè un “raffinato pensatore” perchè quanto detto sul relativismo è di una banalità allarmenate, oltre che a tratti contraddittorio, infatti il pontefice deve ammettere che un giusto grado di relativismo è auspicabile.
– non ho ancora trovato un fedele cattolico, un sacerdote, un giornalista o un politico che parli dei pericoli del relativismo avendo capito cosa sia il relativismo stesso.