La filosofia non è un sapere specifico, ma un incessante esercizio critico Nel proporsi come “filosofo”, differenziandosi così dai sofisti che erano maestri nell’arte della persuasione, Socrate dice di sé di non possedere alcun sapere, al contrario dei sapienti, dei sacerdoti e, in generale, di tutti gli uomini convinti della verità delle loro opinioni. Per questo, nella sua ricerca della verità, consulta i pareri che nascono su un determinato argomento da parte di coloro che lo ascoltano o dei discepoli che lo seguono, che Socrate mette alla prova per verificare se le loro opinioni hanno a proprio sostegno validi argomenti che resistono a tutte le possibili obiezioni, oppure crollano perché, a un attento esame, rivelano al loro interno delle contraddizioni.
Il famoso principio di non contraddizione che, come abbiamo visto, i bambini apprendono in tenera età, grazie ai “no” ripetuti dalle mamme per definire il significato delle cose, diventa per Socrate il grimaldello che fa saltare i discorsi infondati, lasciando in gioco solo quelli che al momento non rivelano in apparenza evidenti contraddizioni.
Tutti, ad esempio, hanno più o meno un’idea di giustizia, di verità o di bellezza, a seconda del tema in discussione, ma non tutti hanno argomenti adeguati a sostegno della loro tesi. In questo caso, Socrate dice di sé di comportarsi non come un sapiente che, possedendo un sapere, insegna che cos’è la giustizia, la verità o la bellezza, ma come un vasaio che, percuotendo con la nocca del suo dito i vasi, verifica, dal loro suono, se sono di vero bronzo oppure no. Allo stesso modo del vasaio con i vasi, Socrate verifica se le opinioni che i suoi ascoltatori o i suoi discepoli espongono sono fondate oppure no, se c’è una perfetta consequenzialità tra premesse e conseguenze oppure no, se, nel loro articolarsi, queste opinioni nascondono delle contraddizioni o ne sono immuni. E tutto questo come avviene? Con il dialogo.
Dalla introduzione di Perché. 100 storie di filosofi per ragazzi curiosi