Dunque il rapporto tra arte e religione è strettissimo, anche se gli uomini di religione oggi sembrano averlo dimenticato, come risulta a chiunque capiti di entrare in una chiesa che l’architettura contemporanea, rispondendo a esigenze di pura funzionalità, ha in certo qual modo del tutto desacralizzato, coinvolgendo nel processo di desacralizzazione sacerdoti e fedeli, i quali, dimenticando che il sacro non ha mai parlato la lingua degli uomini, per il bisogno di intendersi, di capire e di farsi capire, affogano in noiosissime nenie recitate in italiano, quel che di più insignificante gli uomini possono implorare.
Qui a implodere non è solo l’estetica, che già la nostra cultura ha tolto dal mondo per relegarla nei musei o in qualche ambito determinato degli ordini disciplinari, ma la stessa religione, che non è solo fede e ragione, come le dispute polemiche potrebbero indurre a credere, ma è anche e soprattutto mobilitazione degli affetti, quindi del sentimento, della sensibilità che i Greci chiamavano aísthesis, estetica.
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Salve,sono una ragazza di 25 anni,appassionatissima di libri,di uomini e dunque di vita.Ho letto molti dei suoi testi e non posso che ringraziarla perché hanno contribuito e contribuiscono alla mia crescita interiore,in particolar modo l”Ospite inquietante”,fotografia amara ma quanto mai veritiera del mondo in cui mi trovo a vivere..Ho letto con attenzione questo suo articolo…faccio teatro da dieci anni e amo l’arte in generale in tutte le sue forme e credo che nulla più di essa sia la manifestazione di Dio in Terra.Attraverso essa,sia da fruitori che eventualmente da “attori”(per chi ha la fortuna di avere una qualsiasi passione di carattere artistico),riusciamo a percepire una Bellezza assoluta,e universale…
Grazie ancora per i suoi scritti….!
Ines Dente
Professore Galimberti, ho seguito la sua conferenza il giorno 31/10/2014 a Sapri e pur avendole stretto la mano con gran piacere non sono riuscito a parlarle come avrei voluto, o farle una domanda come avrei voluto,e gliela faccio adesso: La crisi che stiamo vivendo é il prezzo della nostra tracotanza culturale(occidentale)? E può essere che questa crisi ci possa portare verso la giusta misura e che quindi ancora IMA volta
Le piccole speranze, caro amico, mai si perdono perché mai si trovarono.
Si siamo psicologicamente inadeguati al nostro tempo.Non ce la facciamo a stargli dietro.Un unico valore il denaro ; il valore di un uomo in base alla quantità che ne possiede. Le sofferenze psichiche che ne conseguono ( ansie, depressioni e quant’altro). La grecità ci può aiutare?; io penso di si. E’ semplice? NO. Una frase del pensiero stoico dice che come prima cosa da fare ( per iniziare un qualsiasi percorso ) bisogna buttar fuori ogni condizionamento della cultura in cui si vive.
Dear Professor
le ho inviato un tweet ma, evidentemente, non ha avuto modo di leggerlo. Le ricordavo che l’ebraico dispone di tre termini per derfinire la parola “anima”: Nemesh, Rauch e Neshamah. Noi le tradurremmo con anima primordiale ( soffio vitale), anima mediana (spirito) ed anima superiore ( ciò che distingue l’uomo da tutti gli esseri viventi). Non solo, quindi, Nemesh tradotta dai Settanta come Psychè con l’intento di compendiare il significato di tutti e tre termini.
Mi sono permesso questa puntualizzazione perchè l’ho sentita più volte affermare che il concetto di anima non esisteva nella religione ebraica e sarebbe stato introdotto a seguito di una errata traduzione .
Detto questo condivido in larga parte le tesi da lei espresse anche se, seguendo le sue conferenze, sono cosi spesso reiterate da
sembrare dei mantra.
La saluto cordialmente
Giorgio Zara Treviso
Sono molto d’accordo, quando entri in una chiesa e ascolti una funzione non c’è niente che stia al passo con i tempi e ispiri una qualche forma di creatività nell’uomo.
Risultato!: esci dalla funzione che sei un pò meno credente di quando sei entrato.
buon commento
Fino ai limitari dell’universo, quando il piombo sta nel vuoto che vedi nella pupilla di uno sconosciuto, quella che per far grazia alla tua paura fingi di non vedere. Ove s’odono immancabili i frastuoni dei futuri mai bastevoli, l’uno avvinto all’altro a comporre una tela di ragno tanto invisibile che potremmo anche chiarla follia, ove la carne incontra la strada maestra che si nega ogni fine, ove muove il lupo, e il gatto e la bestia a rovistare il mondo impazzito per promettersi, l’uno all’altro, uno spicchio di sole per il nuovo giorno. Lì trovi la porta che ti consegna al destino, come fosse una voce scritta sopra le tue interiora e mai più ascoltata, d’ogni segreto l’amara certezza, d’ogni anima il segreto fine. Chi sei tu, se non le moltitudini dei tempi che si presentano ai telegiornali raccontando un solo funerale? E tutte le altre cose che fai di te stesso, poiché prendendo forma vive tutto ciò che vive fra l’angosciosa morte dell’anacoreta e quella gloriosa a cui aspira l’astioso procedendo il passo sulla lama del mondo che da e del mondo che riprende, nel giorno in cui non t’avvedesti di ciò che ora sai era già lì, perfettamente puntuale al suo incontro. Tu pensi che essi prevedono il futuro per vivere stretto al polso di un orologio ritardato che ti fece dire, che ti fa dire e che ti dirà, mentre essi mai pronunciandosi parlano dal tuo presente, e nient’altro. Perennemente ritardato. Ora dimmi, se tu potessi chiedere allo sconosciuto ora, danza la tua danza per me e soltanto quella per dirmi che sogno intendi, muovi con me al centro e torna indietro con me, tu avresti più presente il piombo che sta nei suoi occhi? E se conosci queste parole, perché continui a far finta di fraintenderle o a dire che sulle montagne dell’Afghanistan fa troppo freddo per una lumaca come te? O forse tu credi che i Lager nazisti fossero orfanotrofi modello.
Un “Pericolo sociale”.
Se non vado errato, il termine “estetica” coniato dai greci dovrebbe indicare la manifestazione apparente dell’attività sensoriale.
Mutuando da alcune tradizioni spirituali orientali, i sensi, propriamente parlando, funzionano sia in entrata che in uscita, per cui, con la parola senso si intendono dei “movimenti” che dalla realtà esterna al nostro corpo vi penetrano suscitando delle reazioni (basti pensare al momento in cui percepiamo degli odori sgradevoli o, al contrario dei profumi), sia dei “movimenti” che dall’interno del nostro corpo si muovono verso la sua periferia dapprima (è ciò che succede con i ricordi, ad esempio, che possono permetterci di “rivivere” sensorialmente realtà non attuali) fino ad esprimersi all’esterno attraverso comportamenti specifici che, se non sbaglio, noi oggi definiamo con il termine di emozioni (gesti di rabbia, di gioia, di pace, ecc).
In tutti questi casi, tuttavia, l’attività dei sensi (sia di percezione che di azione) non può realizzarsi senza una “cosa” che chiamiamo con vari nomi: mente, coscienza, psiche, anima, ecc.: è la ragione per la quale è possibile diventare fisicamente insensibili pur non avendo lesioni organiche rilevanti, ad esempio; oppure, al contrario, è possibile “sentire” di avere un corpo integro anche quando, in realtà, questo è stato mutilato in qualche sua parte.
Se si considera, allora, il legame stretto che intercorre tra sensazioni fisiche attuali, percezioni fisiche non attuali, percezioni non fisiche attuali, emozioni e sentimenti da un lato, e la funzionalità organica del corpo e lo sviluppo intellettuale/culturale della psiche dall’altro lato, si capisce come il grande fallimento dell’occidente sia da ravvisarsi nella separazione didattico/accademica prima e sociale/di costume poi, tra la comprensione del fenomeno e la sua effettiva esperienza.
Se ciò è vero, non è tanto la religione che è stata desacralizzata, quanto la vita umana stessa che non è più sacra … e qui, mi sembra, sarebbe davvero opportuno intendersi sul significato di sacro.
Ho “sbirciato” qualche istante il significato etimologico della parola sul dizionario …… impossibile arrivare ad una definizione univoca ed universale per cui mi sembra che questo sia davvero il cuore della questione: la definizione di sacro, più che di ciò che è sacro.
Ossia, se è possibile definire ciò è sacro perché questo è il frutto di quel complesso meccanismo sensoriale/emotivo/psichico a cui ho accennato sopra, rimane quasi impossibile definire l’atto stesso del sacro, l’origine che mette in moto quel meccanismo.
Alcune religioni impongono od esaltano l’iconoclastia forse proprio nel tentativo di spingere i fedeli a realizzare la differenza che ho appena delineato (ebraismo, islamismo, certe forme di buddhismo, ma anche culti spirituali antichi non formalmente organizzati in religioni); altre religioni invece, come quella cristiana o induista, desiderano ottenere lo stesso obiettivo appoggiandosi e perfino esasperando l’aspetto esteticamente artistico del sacro (se mi è concessa questa curiosa espressione).
Allora, concludendo, non credo che l’uomo stia dimenticando il legame strettissimo esistente tra arte e religione: semmai lo sta evidenziando con modalità nuove e diverse che le nostre menti statiche ma anche, ahimé, in-stabili (o forse statiche proprio perché non più stabili … ) stentano a riconoscere; non credo neanche si possa affermare che il sacro non abbia mai parlato la lingua degli uomini … visto che tale affermazione mi sembra inconciliabile con quella precedente relativa al legame tra arte e religione.
Ho già accennato altrove su questo sito alla mia propensione a non “demonizzare” la tecnologia conferendole poteri e responsabilità che da sempre sono e devono restare squisitamente umani. Ne approfitto per ribadire il concetto dicendo che, semmai, ciò che, da sempre, sta desacralizzando la nostra vita è “la mentalità commerciale e di marketing” con la quale incarniamo la tecnologia e la società (ad esempio, mi viene in mente l’unico momento codificato di autentica rabbia del Cristo, che si verifica proprio nei confronti della commercializzazione dello spirito: non si può servire a Dio e a mammona nello stesso tempo. E qui, ciò che è importante è il significato della parola mammona che, avendo la stessa radice della parola “amen”, non significa ricchezza, bensì ciò che è sicuro, certo. I mercanti nel tempio, dunque, sono da esecrare perché rendono misurabile e certo ciò che per essenza non lo è).
E’ sempre l’umano che crea la sua realtà …… subendone, ovviamente, le conseguenze.
E a questo punto sarebbe opportuno intendersi sul concetto stesso di umano, mi sembra …… perché alla fine, l’unica ragione per cui sto così audacemente offrendo il “mio pensiero” con questa modalità “disumana” che non contempla risposte di alcun tipo, è proprio dovuta al mio desiderio disperato di rimanere umana pur vivendo una vita che di umano ha ben poco …
Per carità …… per “umanità” …… aiutatemi.
Chiedo in generale, a chi vorrà leggermi, di avere pazienza, come ho avuto modo di scrivere in un altro post, la mia formazione accademica/professionale è di tipo economico, da pochissimo tempo mi interessano i temi trattati, potrei commettere errori per ignoranza.
Chiedo di avere pazienza anticipatamente anche per la digressione.
Chiedo in ultimo alla redazione di fornire a Barbara il mio indirizzo di posta privato nel caso lo richiedesse.
Dunque, c’è un’ implosione della religione, della fede, della sensibilità, del sentimento – è un fatto.
In passato la dimensione spirituale, sviluppatasi anche grazie all’arte e alle religioni, aveva una funzione pratica, era realmente funzionale all’uomo e alla sua sopravvivenza – Oggi non lo è più.
L’uomo oggi ha ancora bisogno di convinzioni che diano significato alla sua vita?, si – ma l’arte, la religione lo “sorreggono” ancora? No – perché si rivolgono ad un uomo che non c’è più.
Penso che la Chiesa si stia semplicemente adattando ai nostri tempi – se questo significa “desacralizzare” i sacerdoti, i fedeli, etc. – avrà stabilito che c’è o potrebbe esserci un’ utilità maggiore o forse che non ha nulla da perdere.
Per quanto riguarda la dimensione sacra, penso che l’uomo possa forse intuirla, mai “comprenderla” – ho motivo di credere che le persone che si siano avvicinate troppo al sacro siano morte/impazzite/o vivano emarginate, isolate, in modo disumano.
Tuttavia penso di capire abbastanza quello che lei scrive in generale, penso di capire quando parla del desiderio di “rimanere umana pur vivendo una vita che di umano ha ben poco”, indipendentemente dal fatto che si possano avere gli stessi pensieri o pensieri differenti.
Ogni scelta implica una rinuncia, se l’umano crea la sua realtà consapevolmente non “subisce” nulla, accetta consapevolmente di rinunciare/di sacrificare qualche cosa in nome di qualcos’altro riconoscendo questa cosa come superiore – può essere doloroso? si, se si è “umani”.
Sappiamo che la nostra conoscenza è basata sull’esperienza – ma comprendere è interpretare ed è quindi condizionato dalla situazione di chi interpreta. In generale si concorda che ci sia un’oggettiva impossibilità di conseguire, in ambito scientifico, etico, estetico, certezze definitive, immutabili e indipendenti dalla storia – (fino a poco tempo fa si pensava che il sole girasse intorno alla terra…).
Secondo Heidegger i sentieri non portano da nessuna parte e non servono a nulla di preciso se non a muoversi all’interno del bosco stesso.
Secondo Freud l’uomo è “guidato da una pulsione che è la spinta generica verso una meta non determinata” – Questo per me non significa verso “ciò che, non avendo alcuna determinazione data, può assumerne diverse” ma che qualunque strada si decida di percorrere porterebbe comunque alla stessa meta – l’uomo, per me, è parte di questa essenza.
La Tecnica è “essenza” dell’uomo ma sottostà, come ogni cosa, se la si pensa alla maniera greca, al vincolo che governa le leggi di Natura, secondo necessità: – tutto nasce, si sviluppa, muore, in modo immutabile.
Nella tradizione giudaico-cristiana la Natura è il prodotto della volontà di Dio – riferendosi all’uomo dice “dominerai su tutte le cose” – si attenderà e si vedrà quale sarà l’uomo che dominerà su tutte le cose e dove questo dominio porterà (come ho scritto in un precedente post il reperimento delle essenze potrebbe non avere l’uomo –almeno come lo intendiamo noi oggi – come meta ultima.
Trovo che molte cose di cui ancora oggi si parla siano anacronistiche o forse c’è la volontà di rallentare un processo inevitabile e/o “buttare fumo negli occhi” per ragioni precise, se fosse per “paura” o “cautela” sarebbe comprensibile ma penso purtroppo che i motivi siano fondamentalmente altri.
La Tecnica ha modificato il corso della storia, qualunque “senso” – qualunque “movimento significativo” sarà condizionato dalla tecnica – Personalmente non ci vedo nulla di strano, accetto il fatto come “necessario” – resterò a guardare fino a quando mi sarà possibile, fino a quando sarà sopportabile; prevedibile però il declino dell’Occidente se qualche cosa non lo impedirà.
Sappiamo che l’aumento quantitativo di un gesto determina una variazione qualitativa – se mi tolgo un capello sono uno che ha i capelli, se me ne tolgo due, sono ancora uno che ha i capelli, se me li tolgo tutti sono calvo. Quindi l’aumento quantitativo di un gesto determina una variazione qualitativa del mio cranio – Questo elemento è stato ripreso anche in economia da Marx (citaz. Hegel – Galimberti).
Cito sempre Galimberti “Se noi applichiamo questo teorema hegeliano e marxiano alla tecnica diciamo che: se la tecnica è la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, allora la tecnica non è più un mezzo ma diventa il primo scopo che tutti vogliono e per ottenere il quale si sacrificheranno tutti gli altri scopi. Perché senza, gli scopi non sono più scopi ma sono sogni.”
Si sostiene che sia in atto una “mutazione antropologica” – alcuni “nativi digitali” (espressione coniata da M.Prensky) sembrerebbe abbiano un cervello diverso dalle persone nate prima del 2000 (la fonte è autorevole anche se forse non è stato ancora scientificamente provato). In realtà il livello di competenza tecnica non varierebbe rispetto all’età anagrafica ma dipenderebbe principalmente dal contesto culturale/economico nel quale si vive – solo nei paesi sottosviluppati o “controllati” si ha un livello di competenza tecnica limitato (personalmente sono favorevole, Internet dovrebbe essere gratuito e facilmente accessibile a tutti e favorevole a qualunque nuova scoperta tecnico/scientifica).
Ho reperito i dati dal Centro Studi Etnogradia Digitale/Censis – i “nativi digitali” sembra siano molto più veloci e “multitasking”, abbiano prevalentemente sviluppata la funzione visiva (più percettiva/meno simbolica), ascoltino meno, siano meno creativi; sanno collaborare, lavorare in gruppo, pretendono risposte immediate (perché a loro la realtà richiede risposte immediate), non sanno attendere nello spazio virtuale e nel reale – la comunicazione è semplificata perché è necessario essere molto veloci e molto preparati su più fronti, li caratterizza un marcato complesso narcisistico e gusto per la messa in scena – vengono privilegiate le emozioni (cose che si possono acquistare) – piuttosto che le relazioni (che si devono costruire e mantenere) – non si lasciano ostacolare dalla “proprietà intellettuale” (l’informazione è di tutti), etc. Questo riflette la società – si parla infatti di “società liquida” (Baumann) – ”sacra” sarà l’ultima piattaforma Android ….
Non ha più senso parlare oggi, nell’età della tecnica di ideologia o di cultura occidentale legata al consumismo o di ideologia o di cultura russa o cinese legata al comunismo – La tecnica è trasversale – L’India ad esempio continuerà a considerare sacra la vacca, contemporaneamente non sottoscriverà il TNP (Trattato di non proliferazione nucleare); si prevede (Boeing) che voleranno nel prossimi 20 anni in India 1.450 aerei per un valore di 175 miliardi di dollari (ANSA 2014). – Previsti inoltre imponenti investimenti anche nel campo dell’elettronica e dell’informatica (vediamo già da ora le ripercussioni in Europa di questo trend nel campo economico – per questo scrivevo che il cavallo ce lo portiamo addosso…mio figlio mi ha definita “giurassica” – ma ho dei seri dubbi che i nostri giovani siano sufficientemente preparati ad affrontare la situazione – vedo i nostri 30enni seriamente in difficoltà ed un futuro privilegiato solo per chi si potrà permettere università di livello/lavorare all’estero (gli stipendi in Italia si sono adeguati a standard da “fame”).
Non potrei avere una posizione definitiva, come ho spiegato in altre occasioni, non ho elementi sufficienti per escludere una visione antropocentrica e credere nell’uomo come espressione immanente dello spirito alla base dell’Universo, ma intuisco che probabilmente potrebbe essere un uomo molto diverso da quello che abbiamo fino ad ora conosciuto – “simil-macchina” come il Professor Galimberti ha definito.
Solo di recente, dal 1850 circa, la vita dell’uomo si è allungata, proporzionalmente al reddito (in Africa infatti l’età media ancora oggi è 50 anni– nel 1600 era di 30 anni ) – solo così c’è stata la possibilità di fare esperienze, lavorare, viaggiare, invecchiare, amare, etc. – se fossimo morti a 30 anni sarebbe stato difficile… – anche se si fosse disoccupati oggi a 30 anni o a 50 sarebbe difficile…
Grazie alla Tecnica, come abbiamo detto tutto è semplificato e veloce – tutto viene ideato, nasce, si sviluppa, muore in modo più veloce – questa formula verrà applicata anche all’uomo, tutto si adeguerà…sarà impossibile prevedere le conseguenze.
Con tutto il rispetto, sono profondamente grata, ma non so quanto senso possa avere parlare oggi di religione, di omosessualità, di vecchiaia, di politica quando il luogo delle decisioni è altrove/ad altro interessato – questi argomenti per me in verità sono molto interessanti ma io mi sento, per fortuna o per sfortuna, una spettatrice.
Capisco, apprezzo e condivido.
Per quanto riguarda la religione oggi dovremmo riguardarla e coltivarla soprattutto come spiritualità, dimensione che appartiene antropologicamente a tutti; una spiritualità che possa informare una nuova società, un nuovo umanesimo, una nuova etica nel senso della giustizia e dell’uguaglianza sociale ( parlo di neo-comunismo, con tutta la forza del dovere del cambiamento, un dirigismo evoluto e condiviso…)
Saluti
…dimenticavo l’argomento principale del rapporto tra arte e sacro; per renderla in modo sintetico ritengo che la spiritualità-religione e l’arte siano due aspetti della stessa realtà umana.
La conosco soltanto attraverso la sua determinazione, quindi non conosco affatto, chi o cosa potrebbe essere. Lei,tu, come preferiscei ,l’unica persona dll’etere ormai viedoletteraria che desidererei tanto incontrare.Scambiare opinioni con uno sconosciuto , in una piazza in un parco,dove capita, non ho la possibilità di viaggiare,abito a roma. Se transitasse casualmente o non in questa città avrei qualcosa di importante,un progetto, da mostrarle
Poche righe, ma che mi hanno fatto intuire un mare di cose… non so perché anche Florenskij, che conosco ben poco tra l’altro.
Comunque a priori o inconsciamente non posso che sottoscrivere tutto. L’esperienza che vogliamo chiamare del “divino” (o bellezza, sublime, assoluto ecc) non può che in questo senso esser esperienza estetica, ed è giustamente per questo che le chiese ecc son sempre stati edifici di una certa bellezza, affrescati e quant’altro. So che di questo – come del resto – si potrebbe e dovrebbe dir molto, ma tralasciamo. Dico soltanto, e banalmente, che il risultato dell’opera non è che la causa e il fine del sentimento di aulico che sta dietro i costruttori. Lapalissiano direi.
Si potrebbe parlare anche della musica, in particolar modo di J.S. Bach, il quale ha composto gran parte della sua musica (e migliore a mio avviso) proprio sotto lo stesso influsso.
Il brutto, che sta all’opposto di quanto detto, invece che cosa produce?
Per quanto riguarda il commento sui musei, son quasi scioccato, dato che l’ho pensato non molto tempo fa..
Specificamente… Non saprei dire a quali architetture il professor Galimberti si sia riferito, o a quali oggetti particolari. In Italia esiste una architettura contemporanea anche e soprattutto di edifici di chiese cattoliche, in verità secondo un vero e proprio nuovo stile originale. L’impressione all’esterno è assai vaga e discreta, non del tutto anonima, pienamente inserita nei contesti urbani nuovi ma non nuovissimi e quasi sempre umili, ovvero non i grandi palazzi dei tempi della nobiltà al potere, ma le costruzioni assai anonime e prive di bellezza propria, quasi sempre in cemento armato, però piacenti, sia pure minimamente, se si consideri non solo scopo e destinazione, ma condizioni di vita e condizioni sociali contemporanee con tutte le relative situazioni. In tali contesti urbani ed edilizi, più simili alle periferie delle città sovietiche o ai quartieri palestinesi od anche libanesi che non alle periferie tipiche del Nord Europa, si trovano edifici di chiese che pur non avendo apparenze esterne clamorose testimoniano ugualmente una spiritualità monoteista e cristiana, richiamandosi provvidenzialmente alle severità estetiche del gotico e non ai fasti del barocco e non alle raffinatezze del rococò. Queste chiese testimoniano un cattolicesimo ancora cristiano e sono architetture fortunatamente assai diffuse, anche apprezzate e stimate dagli esperti; ma ovviamente non testimoniano nulla delle persone, presenti o assenti, anzi furono fatte così anche per evitare gli inganni estetici di intrusi improvvisati o… accaniti! Al loro interno vi è solitamente molto spazio, pochissimo da notare oltre mura e pilastri, tutto è artisticamente significante per esiguità di elementi esteticamente rilevanti. Dalla contemplazione di tali edifici si ricava maggiore conoscenza sul presente cristiano-cattolico, se non dei cristiani cattolici, che dai discorsi comunemente fatti o fattibili. Ovviamente la spiritualità di tale presente è aliena da ideologie, prassi, programmi, proposte vaticane o papaline. Nessun fasto, come nella grande musica di Arvo Part o Ligeti, ma con poco, umilmente, insomma in un certo senso la cosiddetta “arte povera” contemporanea, quella osannata da tanti critici illustri. Negli ultimi anni molte periferie sono mutate. Quartieri e sobborghi satelliti sono apparsi, piuttosto americaneggianti per disposizioni e funzioni, senza quindi significativi mutamenti; ma anche grattacieli e varie costruzioni a specchio, che hanno consentito coi loro giochi di luce costruzioni attigue o vicine meno sobrie; inoltre si possono notare anche in certi zone convergenze con gusti, stili, prerogative delle costruzioni tipiche ma non caratteristiche del Nord Europa. In tali posti, io ho potuto apprezzare edifici di chiese cattoliche dall’estetica meno essenziale ma pur sempre severa e chiara: vagamente e spontaneamente orientaleggianti, sorprendentemente bizantineggianti in taluni casi: penso sia questo il nuovo e più importante paradigma architettonico da considerare. Sono chiese che si presentano come grandi case, mentre quelle altre rimandano la mente al pensiero di depositi industriali o altro simile. Anche questo ultimissimo esempio è alieno dalle ufficialità vaticane, e penso sia più diffuso nel Meridione. Rappresenta l’idea di una dimora accogliente solo per chi fosse interessato a ciò che è manifestato, soltanto pratica per gli altri e dispersiva per gli intrusi. Forse la mancanza lamentata da Galimberti sarebbe ampiamente diffusa nel Settentrione d’Italia, ma io questo non saprei confermarlo, perché non ne ho idea precisa.
Contemplando le architetture che ho citato e descritto positivamente, possono venire in mente fatti ampiamente e troppo trascurati e troppo presto dimenticati: non i capricci odiosi e gli intrighi tristi delle gerarchie cattolico-romane, ma l’opposizione ai regimi atei comunisti e totalitari, mossa anche dalla Democrazia Cristiana e da suoi alleati, diretti o ‘trasversali’, condotta democraticamente e cristianamente da tantissimi seri cittadini e non solo da seri rappresentanti politici, non senza, in certe evenienze, le lamentele contro la conduzione del clero cattolico succube del Vaticano; poi l’arrivo di cattolici ortodossi, di ortodossi cattolici, di ortodossi, provenienti dall’Europa dell’Est, con tutte le nuove opportunità di conoscenze e comunicazioni, ed anche a volte comunioni, culturali e religiose.
Bisogna domandarsi: dove, quando e in che senso il vero cristianesimo ed il restante cattolicesimo cristiano attualmente in Italia ed Europa? Dove, quando, in quali modi e maniere, la falsità della “agenzia etica” che tenta di propinare il moralismo per vera religione del Cristo? Questa ultima infatti è religione in relazione ad una Idea potenzialmente sempre risorgente nell’anima, intuibile ma misteriosa, cui dare assensi emotivi ma non senza motivi, questi ultimi offerti dalla vita e le sue necessità. Una questione interiore, non l’elogio per il tal predicatore Gesù di Nazareth o il fanatismo per le vestizioni dei preti cattolici e neppure il nozionismo biblico, neanche la presenza di informazioni o conoscenze sulla cultura cristiana.
MAURO PASTORE
Per la precisione, mi sono riferito ad Arvo Pärt (od anche: scritto e detto Paart), di Paide, 1935, estone, compositore ‘minimalista’… davvero grande, e a György Sándor Ligeti (Târnăveni, 28 maggio 1923 –Vienna, 12 giugno 2006).
MAURO PASTORE
Nel testo si trova scritto erroneamente ‘in certi zone’; sta per: in certe zone.
MAURO PASTORE
Perfettamente d’accordo professore. A parte l’italiano, parole e musiche banali, strimpellature sguaiate, ci braccano anche oltre i portoni delle cattedrali o delle pievi nelle quali cerchiamo ristoro dalla cialtroneria quotidiana
In risposta al conformismo proposto da Galimberti e dal sessuologo dottor Quattrini propongo l’articolo seguente.
L’Omosessulitá ‘ E’ UNA TRAPPOLA – L’identificazione col genere
Dopo aver sfiorato numerose volte l’argomento durante i miei interventi pubblici, vorrei fare una piccola sintesi; un riepilogo dei punti su cui fondare una riflessione obiettiva sull’argomento.
Si tratta di una riflessione che tuttavia non vuole escludere alcun aspetto, prima di tutto quello spirituale.
Se qualcuno è capitato su questo post alla ricerca di qualche opinione altrui che possa farlo sentire più soddisfatto e compiaciuto, probabilmente resterà deluso.
I generi sessuali sono aspetti che competono il corpo fisico prima di tutto, e secondariamente i corpi sottili.
Esistono delle effettive differenze tra i veicoli esperenziali di tipo maschile e quelli di tipo femminile; ironia spicciola a parte, oltre alle differenze anatomiche esistono particolari differenziazioni nella disposizione dei chakra e nella configurazione energetica, che determina tra le altre cose anche le modalità con le quali ci relazioniamo con l’esterno.
Trattasi però esclusivamente di differenze tra i corpi!
L’Ente spirituale che vive la sua esperienza attraverso tali corpi NON ha genere.
Mi permetto infatti di contestare, se non anche biasimare, quei moderni “maestri” che arrivano a convincere i loro proseliti circa il “sesso” della loro parte spirituale.
“…il mio Essere è femminile…”
Questa frase esprime una situazione nella quale si discute di cose futili, frivole, pretestuose, perdendo quel tempo che sarebbe opportuno impiegare altrimenti. Tradizionalmente si riferisce ai teologi bizantini, che si dice continuassero imperturbabili le loro sterili e infinite disquisizioni su quale genere sessuale attribuire agli angeli, mentre i turchi di Maometto II stavano per espugnare Costantinopoli (1453) e porre fine all’Impero Romano d’Oriente.
Sovente ci troviamo di fronte a qualche sgradito fenomeno di reclutamento; esseri umani gravati da ambizioni di potere e magia sviluppano rapporti simbiotici con entità lunari, dopodiché intraprendono la loro missione di ricerca adepti, ovvero persone adescabili (solitamente colte in un momento molto difficoltoso della loro vita…) da offrire all’entità in cambio di potere. Questo tipo di mitomani sono anche molto pericolosi. Situazioni simili ne ho incontrate di persona.
Ciascuno di noi sviluppa un senso del Sé dipendente dalla propria architettura egoica. L’Ego viene erroneamente avvertito come “ente esperente”, e di conseguenza le sue funzioni diventano le nostre funzioni. L’Ego DEVE identificarsi in qualcosa, altrimenti non sperimenta alcun senso di identità.
Da qui generalmente le persone si identificano con il proprio corpo fisico, o talvolta con il corpo astrale (emozioni) o con il corpo mentale (pensieri). Se mi chiedo “io chi sono” o “dov’è il centro del Sé”, la risposta fornita dall’Ego ci indirizzerà a pensare che siamo “nella testa”, o comunque nel corpo.
La comune identificazione col corpo porta ad una serie di problematiche sociali che potremmo definire “peccati di immaturità”: razzismo, sessismo, machismo, femminismo, eccetera.
L’immaturità umana rispetto a questa propria situazione non coincide tuttavia con la sua superbia; e così, nonostante il vuoto di consapevolezza e la mancanza di reale coscienza del ruolo della sessualità nell’esperienza umana, le nuove scimmie in fila davanti al cinema del transumanesimo inventano nuove identificazioni, assumendole come norma obbligatoria.
Non molto differente dall’oscurantismo medioevale o dal sessismo delle sette estremiste religiose, non trovate?
L’identificazione con un genere, al pari di quella per le mode o le ideologie, rappresentano rituali di sintonizzazione con i vari campi ideoplastici (egregor) che concorrono alla plasmatura della realtà.
Quando una persona non si riconosce nel genere maschile, sta processando un dissidio di tipo egoico. Quello in cui non si riconosce è il modello maschile proposto dalla società, non “la maschilità”.
La maschilità è una funzione polarizzata dei corpi che può assumere infinite modalità operative e relazionali.
Credere che esista solo il “modello maschile” o femminile propostoci dal ristretto ambito sociale nel quale siamo venuti al mondo, è il primo errore.
Sarebbe come venire al mondo in un paese dove l’unico frutto conosciuto è la carruba, e decidere di voler assumere un abitudine alimentare priva di frutta.
“io sono un uomo”, “io sono una lesbica”, “io non mangio frutta”… è lo stesso. Si tratta di conclamati fenomeni di identificazione errata del Sé con aspetti egoici.
Sentirsi differenti in quanto non riusciamo ad identificarci con i modelli sociali che ci vengono proposti, è un fatto positivo, non un “problema”. L’identificazione con tali modelli è un problema!
“Non è un segno di buona salute mentale essere bene adattati a una società malata.”
[Jiddu Krishnamurti]
Spesso condizioni difficili nell’adattamento sociale, specie quando compaiono sin da giovanissimi, rappresentano banali indicatori di un impulso spirituale fuori dal comune.
Questo tipo di individui erano tenuti in grande considerazione all’interno di molte realtà tribali, divenendo spesso guide, sciamani, curanderos, veggenti o capi tribù.
Il fatto che la società moderna si basi sull’omologazione e omogeneizzazione degli individui, è il segno della tensione transumanista, che spinge verso un architettura sociale simile a quella degli insetti, dove è indispensabile che ciascuno “faccia il suo lavoro” e non altro!
D’altronde nessun sistema informatico se la cava bene con la gestione degli elementi mutevoli. L’equazione ha bisogno di costanti, e diventa esponenzialmente più complessa ad ogni variabile inserita…
“…bisogna essere consapevoli perché esistono molte situazioni che possono essere usate dall’ego per i suoi scopi. Il grande vantaggio per una persona omosessuale è quello di sentirsi un po’ outsider… cosa che può succedere anche se oggi c’è molta più accettazione. E’ sempre un grandissimo vantaggio per chiunque non rientrare completamente nelle tendenze dominanti, perché questo può creare una disidentificazione precoce dalle identità egoiche dominanti nella società, e così il risveglio spirituale può diventare più facile.”
Una direzione spiritualmente più evoluta è quella di TRASCENDERE il genere.
Trovare un senso di identità nell’identificazione con il “fare”, e quindi con i corpi, è segno invece di immaturità, e rappresenta proprio quella tipologia di “enweaking” volta a dare prematuramente una risposta alle domande dell’anima umana.
In questo caso, la domanda è quella sottesa alle inquietudini di coloro che non trovano un senso di appartenenza e identità negli stereotipi sociali; “chi sono…?”
Proporre loro la soluzione “sei un gay” non risolverà il problema esistenziale della parte interiore, ma metterà provvisoriamente uno stop alla loro ricerca di senso.( l’ennesimo Loop )
Secondo me la religione non puo’ che essere perfettamente artistica, per il fatto che parla di cio’ che sta al di la’ delle cose conoscibili, e addirittura delle cose pensabili.
E come si parla di cosa sta al di la’ delle cose pensabili? O non si puo’ in nessun modo, come esige per esempio la dottrina musulmana riferendosi all’immagine di dio.
Oppure si puo’ in qualsiasi modo, ma ognuno di questi non ha nessun dovere di funzionalita’, di razionalita’ e nemmeno di verita’, sarebbe quindi un sogno, un’opera d’arte.
D’altronde per dire che una cosa e’ “vera” o che “non e’ vera” bisogna portarla nel mondo delle cose concrete, e sottoporla a regole e a giudizio. Quindi quando ci si chiede se dio esiste o non esiste, cioe’ se e’ vero o no, questa e’ una domanda che non puo’ essere posta per cio’ che si propone di indagare.
Eppure l’arte carica di passione, non va d’accordo con l’austerita’ ecclesiastica. E’ sempre stato cosi’? Ha sempre avuto questa funzione la religione? E cioe’ quella di porre dei limiti al dilagare della creativita’ nella gente, come esperienza incoerente di dio? O forse, come penso, di rendere vivibile la dimensione della divinita’ e quindi di rendere possibile la creativita’ e la vita?
Per cui io penso alle religioni come ambientazioni assolutamente convenzionali all’interno delle quali in passato si muovevano gli artisti, trovando cosi’ un equilibrio tra il cadere nell’abisso e non entrarvi affatto.
Ma oggi la dimensione artistica e passionale non e’ inclusa nell’ambito religioso. Le chiese sono dei musei di opere d’arte antiche che non capisce piu’ nessuno. E di opere moderne non vi e’ traccia. Perche’ e’ passato del tempo? O forse perche’ secoli di ragione e di filosofia hanno smontato la credibilita’ del disegno convenzionale della religione, al punto da renderlo non piu’ abitabile perche’ ritenuto in cuor nostro falso e bigotto? E in quale ambientazione allora si puo’ vivere la dimensione passionale senza naufragare?
Non e’ questa la questione che rende la vita invivibile? Non e’ questo che spinge molti a sposare ideologie o teologie estremiste diventando ad esempio terroristi, con l’intenzione ferma di violentare la ragione che li ha rinchiusi? Non cercano disperatamente la loro “piccola divinita’”?
La razionalita’ e’ un personaggio molto ben vestito, molto prodigo, molto amico, utilissimo, convincente. Pero’ e’ anche molto subdola e prepotente. Nel corso del tempo ci ha convinto che tutto cio’ che e’ conoscibile e’ vero, e ci ha promesso che l’inconoscibile era sconosciuto solo attualmente, ma lo sarebbe stato in futuro. Ha convinto tutti, anche i preti secondo me, anche se non lo ammette nessuno.
E con la sua superbia e la sua dogmatica burocraticita’ ha sfidato dio a dimostrare di esserci, a farlo razionalmente, a scendere nel campo del vero, del conseguente, del rapporto causa effetto. Ha chiesto a dio di apportare dimostrazioni della sua esistenza altrimenti sarebbe stato misconosciuto. Evidentemente abbiamo accettato la provocazione. Abbiamo chiesto a dio documenti e carte bollate.
Quindi mi chiedo, e’ la religione che ha disabitato il sacro perche’ i preti sono diventati d’un tratto stupidi? Oppure non hanno piu’ trovato gli strumenti per esprimersi, amputati dalla logica incrollabile della ragione?
Anche se oggi molti lo dicono, che a dio non si arriva con la ragione, non credo che lo intendano veramente. Non so dire perche’, ma non sento dalle loro gole uscire il suono delle sue trombe. Sento il lamento e la vergogna di chi non sa ribellarsi al suo aguzzino.
E nell’imbranato tentativo di salvare capre e cavoli rinunciano sia a dio, annichilito, ridotto a una cantilena, a delle nenie, e sia alla ragione, diventata un marchingegno troppo pervasivo per essere dominato, e che viene per questo temuto e servito senza fiatare come fosse un tiranno. Rimanendo stupidi e senza dio.
Gen.le Prof. Galimberti
Ho 24 anni e sono uno studente di filosofia (fuori corso). Credo il delitto più grave nei confronti della religione, come esperienza estetica (dunque etica), lo abbia commesso il Cristianesimo. La tradizione giudaico-cristiana (così come la conosciamo oggi) ha sempre collocato la donna all’interno di una configurazione passiva (coerentemente al profilo che potrebbe delineare un qualsiasi individuo di genere maschile): attraverso la donna deve risolversi il disegno di un altro (forse le donne che abitavano le città dell’impero, all’interno delle quali la nuova religione si diffuse molto più velocemente, avevano in qualche modo letto questa figura come un riconoscimento della propria natura relazionale e corporea, scenari non molto considerati all’interno del mondo a loro contemporaneo).
(Premetto che non sono un esperto di cultura greca)
Nel mondo greco, la funzione religiosa all’interno della quale sono inserite le donne, presenta, a differenza del mondo cristiano, un ruolo altamente attivo (il Dio parla attraversa la donna anzichè un uomo; persino Socrate dice, nel Simposio di Platone, che l’unica conoscenza di cui egli sia capace viene da una voce femminile).
Si potrebbe andare avanti su questo registro, riportando altri esempi di discontinuità tra le due tradizioni.
La mia domanda al prof. Galimberti è:
E’ possibile che l’esperienza estetica/etica (il “mistico avrebbe scritto Wittgenstein), insieme alla enorme e relativa carica erotica, siano state ingabbiate dal cristianesimo come dispositivo utile ai fini produttivi (secondo lo scenario maschile, della progettualità, degli scopi) alimentando fin da principio la migliore delle logiche capitalistiche?
Credo il dolore, di cui il cristianesimo è pervaso, non sia altro che una potente esemplificazione della sistematica attività di produzione del disfacimento di tutto ciò di cui, al tempo dei greci, non era altro se non l’oggetto di uno sguardo privo di progettualità; ciò allo scopo di avere un resto, qualcosa che anche dopo la morte dell’individuo potesse appunto restare come simbolo di redenzione.
Credo l’esperienza estetica, a cui potrebbe guardare un uomo greco, non conservi nessun esito produttivo. Lo sguardo estetico greco è privo di scopi.
I culti dei greci hanno prodotto opere “sottratte alla natura”, opere in cui la natura si guarda allo specchio (attraverso quei favolosi strumenti di imitazione che sono la matematica;la geometria etc.).
Anche l’arte cristiana ha prodotto capolavori. Forse la differenza tra le due consiste nel fatto che in quella greca l’arte sorge al tramontare di tutte le storie, mentre senza tutte le storie, l’arte cristiana sarebbe (nella maggior parte dei casi) un po’ come la vetrina di una macelleria.
Ma il cristianesimo ha vinto.
Posso solo ringraziare il professor Galimberti per le numerose illuminazioni sulla vita contemporanea che mi sono arrivate dalla lettura dei suoi libri.
Essendo privo di cultura umanistica le sue chiarissime esposizioni in un linguaggio per “non addetti ai lavori” mi hanno fatto comprendere concetti che raggiungono la nostra vita quotidiana.
Graziano