Nativi digitali come tutti, i giovani del nichilismo attivo nelle loro lettere mi chiedono: “Quanto incide l’uso dei mezzi informatici sui nostri processi cognitivi ed emotivi?”. Moltissimo, perché questi mezzi sono dei condizionatori del pensiero, non nel senso che ci dicono cosa dobbiamo pensare, ma nel senso che modificano in maniera radicale il nostro modo di pensare, trasformandolo da analogico, strutturato, sequenziale e referenziale, in generico, vago, globale, olistico. Inoltre alterano il nostro modo di fare esperienza avvicinandoci il lontano e allontanandoci il vicino. Mettendoci in contatto non con il mondo, ma con la sua rappresentazione, ci consegnano una presenza senza respiro spazio-temporale, perché rattrappita nella simultaneità e nella puntualità dell’istante.
Che fare? Non possiamo rinunciare all’uso di questi mezzi perché equivarrebbe a una sorta di esclusione sociale. Il che la dice lunga sulla nostra libertà di far uso o meno dei mezzi informatici. Non potendo prescinderne, non resta che diventare consapevoli delle modificazioni che il nostro modo di pensare e di fare esperienza subisce. E di questo dovrebbe rendersi conto anche la scuola, che oggi ha a che fare con ragazzi che sanno cose, dalle più elementari alle più complesse, non per averle lette da qualche parte, ma per averle viste in televisione, al cinema o sullo schermo di un computer o di un telefonino, oppure sentite alla radio o da due cuffie applicate alle orecchie e collegate a un iPad.
È interessante che i giovani del nichilismo attivo si pongano questi problemi e comincino a togliersi da Facebook per sottrarsi alla dipendenza da quel monologo collettivo, dove chi scrive dice le stesse cose che potrebbe ascoltare da chiunque, e chi legge ascolta le stesse cose che egli stesso potrebbe dire. “Siamo malati di social network?” si chiedono. E poi si rispondono: “No, è quel modo di comunicare la vera malattia, perché ciò che si mostra in quella vetrina virtuale è quanto vorremmo che gli altri vedessero di noi, il desiderio mai morto di costruzione di un nuovo io, la ricerca di approvazione, più che di reale comprensione. L’aspirazione al miglioramento, pertanto, tende ad arrestarsi, bloccata dall’opinione (non del tutto consapevole) che lo scarto tra reale e ideale si sia colmato in quel profilo virtuale. E così il social finisce per veicolare istanze profonde, attese tradite, le quali, piuttosto che incentivare una spinta propulsiva, si cristallizzano in quella vuota vetrina”.
Per non parlare della continua espansione dell’informatica nei posti di lavoro, dove i giovani, peraltro nativi digitali, al loro primo ingresso, mi scrivono preoccupati del “progressivo ‘assorbimento passivo’ nell’era digitale che sta avvenendo subdolamente e molto più rapidamente di quanto le nostre menti impotenti possano comprendere.
Un mondo del tutto virtuale e meno reale è quello che ci proiettano i docenti, descrivendolo quasi come unica prospettiva logica e inevitabile, dove vita concreta e virtuale saranno un’unica grande realtà inscindibile (vedi Google Glass, robot a elevato grado di coscienza ecc.)”. È interessante constatare una sorta di disaffezione da parte dei nativi digitali nei confronti dei mezzi informatici. Possiamo pensare che il ritorno al mondo reale, dettato dalla nostalgia e dal bisogno, cominci proprio da loro?
Tratto da La parola ai giovani, il nuovo libro di Umberto Galimberti (p. 17), Feltrinelli Editore
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Un autismo diffuso che avvizzisce, raggrinzisce e disidrata l’e-mozione: il protrarsi, l’indirizzarsi e l’esporsi verso l’altro, come corpo e come mondo, quando la mano sfiora prima ed intreccia poi, un’altra mano-mondo.
Potrebbe anche darsi che il ritorno al reale sia promosso dagli stessi giovani, è possibile tuttavia che la forma mentis acquisita nell’era digitale possa non influire irreversibilmente nonostante il ritorno? Come potrebbe influire? Non sono convinta che un numero di giovani sufficiente per abbattere tale barriera possa farcela senza il supporto di un
aiuto prezioso che io ritengo essere l’arte, la letteratura, la filosofia anche. Ho frequentato il liceo classico e solo
dopo aver concluso il mio percorso ho preso coscienza di quanto lo studio dei
classici, non per retorica, sia in grado di insegnare l’umanità. Uno studio più approfondito di tali discipline potrebbe
essere una valida arma? Il contesto è differente, chiaramente, ma l’uomo possiede comunque le componenti irrazionale e razionale le quali vengono plasmate dagli stimoli che l’uomo stesso riceve, che l’arte come la letteratura hanno fissato nelle varie loro declinazioni.
L’argomento proposto è di notevole interesse perché riguarda il tratto principale degli esseri umani e cioè la comunicazione. Indubbiamente l’uomo, in quanto animale sociale, ha nella comunicazione un bisogno primario e la tecnologia oggi offre i social network all’intera umanità come mezzo per relazionarsi al prossimo. Il problema, a mio giudizio, è quello fatto emergere dal prof. Severino (oltre allo stesso Galimberti) e cioè la tecnica è mezzo o scopo? Se si limita alla funzione di mezzo è un conto, ma se diventa scopo dell’esistenza allora si prospettano scenari di omologazione inevitabili così come lo spettro della esclusione sociale da parte di coloro che con quella omologazione non concordano. Anch’io a 60 anni mi ritengo un nichilista attivo in quanto è il solo modo per rimanere coscienti e consapevoli di ciò che accade. Paolo Magherini.
Oggi Giovedì 9 Agosto la notizia: Tesla, forse una delle piu’ tecnologiche e innovative e “coraggiose” ditte americane, annuncia la sua probabile uscita da wallstreet. Per non dover subire pressioni sulla propria strategia a lungo termine, con giudizi “trimestrali” sui propri risultati.
Molto significativo.
La tecnica che si sottrae all’economia.
Davvero singolare.
Attendo Commenti.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/08/tesla-elon-musk-vuole-portarla-via-da-wall-street-troppa-pressione/4546196/